Alcuni dipendenti dell’operatore telefonico TIM sono stati scoperti dalla Polizia Postale in diverse conversazioni dallo sfondo criminale nelle quali spartivano i dati dei clienti in cambio di migliaia di euro. Le forze dell’ordine, insospettite, si sono mosse per realizzare intercettazioni telefoniche e pedinare gli indagati con l’aiuto della struttura di sicurezza aziendale di Telecom Italia. La quantità di dati venduti ammonterebbe a circa 1.2 milioni di dati l’anno.
TIM: come agivano i dipendenti sleali della compagnia?
La tecnica utilizzata dai dipendenti TIM aveva come unico obbiettivo quello di guadagnare dalle commissioni previste per la portabilità del numero, le quali arrivavano addirittura alla cifra di 400 euro ogni contratto. Il tutto girava attorno alla figura di un imprenditore campano, che controllava e dirigeva tutte le immissioni all’interno di una grande rete commerciale.
TIM ha voluto esprimere tutto il suo dispiacere e la sua riconoscenza durante un comunicato stampa. Ha così dichiarato “il più vivo ringraziamento” all’autorità giudiziaria e alla polizia “per aver portato a termine con successo l’indagine relativa alla divulgazione e commercio abusivo di dati anagrafici e numeri telefonici della clientela”. Grazie ai provvedimenti adottati dal Gip del tribunale di Roma, è scritto in una nota della compagnia, “si chiude oggi una vicenda grave che proprio Tim aveva denunciato alla procura della Repubblica di Roma un anno fa, a seguito di una accurata indagine interna”. In conseguenza ai provvedimenti presi dalla magistratura, Tim dichiara di aver “subito proceduto con misure disciplinari nei confronti del personale coinvolto” e annuncia di costituirsi “parte civile nel processo in quanto parte lesa”.