Fin dalla notte dell’esplosione siano stati rilevati flussi di neutrini provenienti dalla direzione del corpo celeste; tuttavia non sono mai state riscontrate prove concrete delle conseguenze dell’esplosione. Le difficoltà sono prevalentemente legate alla presenza dei residui dell’esplosione che avvolgono lo spazio circostante con una fitta nebbia di gas e polveri.
Una prima conferma sulla natura del corpo celeste formatosi dopo l’esplosione della supernova giunge da uno studio del 2019; pubblicato sulla rivista specialistica Astrophysical Journal. Sfruttando un radiointerferometro situato a circa 5’000 metri di altitudine è stato possibile individuare un nucleo incandescente molto più luminoso della materia circostante.
A dare ancora più valore alla teoria uno studio guidato da Dany Page, Astrofisico presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico, pubblicato il 30 luglio su The Astrophysical Journal. Grazie all’applicazione di modelli evolutivi predittivi si è stabilito come sia la posizione che le radiazioni emesse possano essere accomunabili solo ad una stella di neutroni. Per avere la certezza assoluta della scoperta tuttavia, si dovrà attendere ancora qualche decennio quando le polveri e i gas provenienti dalla supernova si saranno del tutto diradate.