Ci sono alcuni disastri che non potranno mai essere dimenticati, e resteranno impressi nella memoria storica dell’umanità. Epidemie, guerre, carestie ma anche incidenti hanno determinato ripercussioni gravi sul lungo periodo. In quest’ultima categoria, troneggiano senza dubbio gli avvenimenti di Chernobyl.
In quel fatidico 26 aprile 1986 un incidente causò una violentissima esplosione, andando a determinare lo scoperchiamento del reattore e il rilascio di altissime quantità di materia radioattiva nell’atmosfera.
Nello specifico, per effettuare una serie di controlli “di sicurezza” – stando a quanto riportato dalle fonti ufficiali – il personale scelse di violare consapevolmente alcune norme di sicurezza, determinando un aumento di potenza e temperatura del nocciolo del reattore 4. Questo portò alla rottura delle tubature di raffreddamento. Il personale tentò di fermare il reattore inserendo delle barre di controllo, ma la punta in grafite delle barre andò a reagire con l’idrogeno derivante dall’acqua di raffreddamento, e innescò l’esplosione.
Eppure, nonostante siano trascorsi 34 anni, una ricerca dell’Università di Bristol ha portato alla luce un’inquietante verità. Un team di ricercatori, infatti, tramite l’utilizzo di droni ha mappato le radiazioni presenti ancora oggi nella zona.
Le rilevazioni hanno interessato un’area di 15 km2 grazie all’impiego di circa 50 droni, che hanno sorvolato la zona a partire da un villaggio distante 13 km dall’epicentro dell’esplosione.
La tecnologia utilizzata corrisponde alla spettrometria a raggi gamma, usata anche per misurare le radiazioni circostanti a Fukushima dopo il disastro del 2011. Ne è emerso che, nonostante le numerose misure di sicurezzaadottate, la radioattività della zona è ancora oggi estremamente elevata. Questo dato ha sorpreso gli scienziati, che hanno rilevato anche una scarsa uniformità nella Foresta Rossa.