Il presidente degli USA Donald Trump non è certamente nuovo a decisioni o dichiarazioni che spesso hanno lasciato l’opinione pubblica alquanto basita, il noto americano infatti, vanta un palmarès alquanto corposo con vari esempi, come la decisione che è costata il ban a Huawei con conseguente perdita dei servizi Google, il tutto unito ad una politica aggressiva e a tratti incomprensibile che addirittura il 3 Ottobre gli costò un impeachment nato da un presunto tentativo di utilizzare gli aiuti esteri degli USA per obbligare il governo ucraino a indagare su Joe Biden.
A quanto pare però la lista a breve vedrà aggiungersi un nuovo tassello, infatti secondo i rumors l’ultima grande regione selvaggia dell’Alaska, L’Arctic National Wildlife Refuge (ANWR), vedrà presto l’arrivo delle trivelle e verrà perforata per procedere con l’estrazione di petrolio e gas naturale.
Una scelta figlia della politica negazionista
L’amministrazione Trump ha deciso di concedere la perforazione della più grande riserva del mondo, la quale fa da rifugio a numerose specie animali ,la cui densità e diversificazione di popolazione non ha eguali in nessuno altro posto del circolo polare delle cinque nazioni a Nord.
La motivazione palesata dall’amministrazione riguarda il creare e quindi offrire posti di lavoro necessari in questo momento di crisi, non una novità per tutti gli ambientalisti abituati a vivere una politica negazionsita da parte del presidente USA nei confronti dell’ormai affermata situazione di crisi ambientale e climatica.
Adam Kolton, direttore esecutivo dell’Alaska Wilderness League, organizzazione no profit che lavora per proteggere le terre selvagge dell’Alaska da operazioni di questo tipo, ha espresso tutta la propria preoccupazione, sottolineando i caratteri catastrofici a livello ambientale di tale iniziativa e come, ogni azienda che prenderà in considerazione l’offerta di contratti di locazione debba essere consapevole non solo dei rischi ambientali ma anche reputazionali, politici e finanziari.
BREAKING: @Interior just took the next step to open the sacred Arctic Refuge up to oil and gas exploration. We can’t let them get away with it. Sign the petition to #ProtectTheArctic today! https://t.co/mwEfdV7tJZ pic.twitter.com/hLkVC1nHqg
— Arctic Refuge Defense Campaign (@defendthearctic) August 17, 2020
L’ANWR è un rifugio (per non dire tesoro) di ben 19 milioni di acri di estensione che fa da casa ad una vastissima varietà di specie animali, restando inviolata per quasi 30 anni essa è la più ampia dei 16 National Wildlife Refuge dell’Alaska.
Una fuoriuscita di petrolio in questo grandioso santuario costituirebbe un danno incalcolabile, devasterebbe infatti orsi polari e caribù, causando un danno ad un ecosistema incontaminato unico nel suo genere.
Ad esserne a conoscenza sono perfino le banche statunitensi, le quali hanno espressamente dichiarato che non finanzieranno alcun tipo di attività all’interno del suolo preziosissimo dell’ANWR.
Ovviamente la decisione presa dal presidente americano mostra o forse viene camuffata dallo scontro elettorale per le presidenziali con Biden, il quale nel suo piano climatico sottolinea la sua volontà di tutelare ANWR e altre aree colpite dagli attacchi di Trump, il quale invece a sua volta, giustifica la sua politica come un tentativo di risollevare il PIL in picchiata a seguito dell’emergenza con contestuale obbiettivo finale quello occupazionale.
Quel che è certo è che, come anche affermato da Kristen Monsell, avvocato del Center for Biological Diversity, quello che abbiamo davanti agli occhi è un nuovo pericoloso massimo nell’ossessione dell’amministrazione Trump verso l’espansione dell’estrazione di combustibili fossili, una fonte di energia che muove la maggior parte degli Stati Uniti ma che dovrebbe pian piano cedere il posto a tecnologie più all’avanguardia e soprattutto eco-friendly, dal momento che la catastrofe ambientale è sempre dietro l’angolo, come ci insegna ad esempio quanto accaduto presso le Mauritius.