Alcuni eventi hanno lasciato cicatrici profondissime nella storia dell’umanità. Tante diverse calamità si sono succedute da quando l’uomo è comparso su questo pianeta, dalle epidemie, alle guerre, alle eruzioni, agli tsunami. Ma per alcune di queste vi è un’inespugnabile colpa della nostra razza, che ha provocato danni irreparabili a propri consimili e anche all’intero ecosistema.
Stiamo parlando, ad esempio, dell’esplosione del reattore nucleare della centrale di Chernobyl, un incidente causato dall’avventatezza dell’uomo e dalla sua negligenza a porre rimedio immediato ai propri errori.
La volontà di insabbiare le conseguenze del disastro, poi, ha avuto la meglio su ogni dovere morale, civico e giudiziario.
Nella notte del 26 aprile 1986, una serie di controlli di sicurezza innescarono involontariamente una reazione esplosiva che coinvolse l’intero reattore, andandolo a scoperchiare e rilasciando elevatissime quantità di radiazioni nell’atmosfera.
Precisamente, fu una violazione consapevole delle norme di sicurezza a determinare un aumento di potenza eccessivo, con conseguente innalzamento della temperatura e rottura di tubature di raffreddamento: si cercò di tamponare inserendo delle barre di controllo, ma la punta in grafite delle barre andò ad innescare una potentissima reazione esotermica e il reattore 4 esplose.
Dopo 34 anni da questo incidente fatale, i ricercatori dell’Università di Bristol hanno impiegato circa 50 droni per mappare la presenza di radiazioni nell’area.
E’ emerso che, su un raggio di ben 15 km2 , la spettrometria a raggi gamma ha rilevato ancora oggi una radioattività estremamente elevata e inadatta a qualsiasi forma di vita umana. Non vi è uniformità nella diffusione delle radiazioni nelle varie aree, sinonimo di un’instabilità che ancora oggi caratterizza l’ecosistema della Foresta Rossa.