Ogni anno le aziende sono costrette a rimuovere molti articoli . Per ogni prodotto rimosso dal commercio vi sono delle gravi conseguenze che vanno ad incidere sull’azienda stessa. In base ai numeri forniti da uno studio del Food Marketing Institute e della Grocery Manufacturers Association (soprattutto in questo periodo caratterizzato dal Coronavirus), il costo medio del ritiro di un prodotto dal mercato si aggira sui 10 milioni di dollari. Tra questi sono compresi i danni legati all’immagine del marchio, le vendite perse, gli investimenti in campagne stampa “di recupero” e altri costi “fissi”. Per quanto riguarda invece il settore del cibo e delle bevande, le richieste medie alla compagnia di assicurazione sono pari a 9,5 milioni di dollari per ogni prodotto ritirato dal commercio.
Molto spesso le notizie si diffondono in tempo reale purtroppo (o per fortuna) grazie ai social network, i quali però talvolta possono diramare notizie che poi si rivelano essere false. Stewart Eaton
, responsabile divisione Global Crisis Management, Recall ad Agcs, spiega: “I social media possono esacerbare la situazione quando c’è un richiamo di prodotti, se non gestiti bene“. Al contrario, “possono essere utili a mettere in guardia in anticipo il consumatore“. In generale, aggiunge Eaton: “I produttori devono essere in grado di riconoscere i fattori di rischio, essere meticolosi con il loro fornitore e condurre audit regolarei”.Nel 2020 (per via del coronavirus), se da una parte vi sono maggiori maggiori standard igienici, dall’altra i rischi di contaminazione potrebbe essere in aumento per via delle nuove metodologie, delle fabbriche temporaneamente chiuse e riavviate, della forza lavoro che opera da remoto, della diminuzione delle visite di ispezione e di catene di fornitura irregolari. La soluzione non è stata ancora decifrata, ad ogni modo la cosa importante di questi tempi è la sicurezza.