Tra gli avvenimenti catastrofici che si sono susseguiti dall’inizio di questo 2020 – tra pandemia, tensioni fra Stati, incendi in Australia e Siberia – un altro grande cataclisma si è abbattuto sul nostro pianeta. La zona denominata Foresta Rossa, che include la centrale nucleare di Chernobyl, è stata bruciata dalle fiamme durante gli scorsi mesi e ancora oggi se ne sentono gli effetti.
Sono 35 gli ettari di terreno bruciati dalle fiamme, probabilmente di origine dolosa: l’incendio ha interessato un’area molto vasta, ma uno degli aspetti più preoccupanti corrisponde alla perdita della biodiversità e della fauna che stava ricominciando, dopo decenni, a popolare quelle zone. Il disastro, da questo punto di vista, è incalcolabile: proprio ora che la natura stava tornando a prendersi i propri spazi, ecco che interviene una calamità a distruggere il delicato equilibrio che si stava ripristinando.
L’altro motivo di grande preoccupazione riguarda il picco di radiazioni registrate proprio in concomitanza con l’incendio. I dati riportano valori di 16 volte superiori alla norma, per cui Legambiente chiese al governo ucraino di attivarsi immediatamente per evitare il ripetersi di un copione purtroppo già letto 34 anni fa, quando migliaia di vittime innocenti si ritrovarono a fare i conti con una minaccia invisibile che portava morte, deformità, dolore.
Le autorità locali garantiscono che gli abitanti della zona risultano al sicuro e che questi valori non risultano impattanti sulla vita di queste persone. Non ci si può che augurare che simili calamità siano gestite in maniera sempre più consona al rispetto per la vita umana e dell’ambiente.