Nulla da preoccuparsi se avete tutte le carte in regola. La questione cambia nel caso in cui foste indagati per un sospetto reato. In tal caso i messaggi Whatsapp saranno considerati prove documentali piuttosto forti. Per questo motivo è bene prestare attenzione a ciò che si scrive nell’app. Gli smartphone sono una fonte di informazioni potenzialmente infinite, mentre le info che possediamo al suo interno sono prove inconfutabili. Ma come agisce la Polizia Postale in questi casi?
Whatsapp: l’app “spia” delle nostre azioni
Il sequestro a cui sarete sottoposti è probatorio, dunque l’estrapolazione dei dati avviene in modo formale. Deve risultarne traccia nei verbali e negli atti della Polizia in modo che tutte le informazioni si possano utilizzare in giudizio.
Dopodiché si passa alla conservazione dei messaggi: questi si possono trascrivere in un verbale oppure essere fotografati attraverso la schermata della vostra chat e conservati in forma più diretta e visibile.
La Polizia può acquisire il contenuto dei vostri messaggi senza il bisogno di un mandato da parte del magistrato?
A parlarne vi è la Corte di Appello di Roma con la sentenza 4052 del 2018 in quanto non è un’attività di intercettazione, che richiederebbe un mandato esplicito da parte del magistrato. L’acquisizione dei contenuti del telefono è considerata attività di perquisizione personale, che non richiede il vaglio preventivo del magistrato.
Del resto concorda con questa opinione anche la Corte di Cassazione con la sentenza 1822 del 2018. Secondo la Suprema Corte i contenuti del telefono, o di uno strumento informatico in genere, sono equiparabili ai documenti.