Nello stato di emergenza odierno, si stanno vagliando molteplici strumenti per poter bloccare i contagi o quantomeno ridurli al minimo. La seconda ondata sta irrompendo nelle nostre vite proprio in questi giorni, e sta portando come conseguenze la chiusura dei luoghi di aggregazione pubblica e anche la didattica a distanza per le scuole superiori.
Al fine di rendere sicuri gli ambienti in cui ancora è prevista l’entrata dei cittadini e l’afflusso di persone, è necessario impiegare le soluzioni migliori per effettuare l’igienizzazione degli spazi chiusi.
Una delle potenziali soluzioni nella sterilizzazione di spazi (oltre all’ozono) nonché strumenti e soprattutto mascherine consisterebbe nell’impiego degli UVC, dei raggi a corta lunghezza d’onda che andrebbero a neutralizzare totalmente virus e batteri presenti sugli oggetti inanimati (in questo caso i dispositivi di protezione individuale).
Eppure, impiegarli non è attualmente possibile a causa del blocco delle filiere manifatturiere e artigianali necessarie a renderne possibile l’utilizzo.
A parlare dell’impiego degli UVC ai microfoni de Il Giorno ci pensa Marcella Dal Miglio, titolare dell’azienda Adp Idrosteril che è stata pioniera nell’intuire la versatilità di queste lunghezze d’onda per sterilizzare le mascherine, sanificare gli ambienti e i condotti dell’aria.
I vantaggi nello sfruttare lampade a raggi UVC sono molteplici: risulta una metodica più rapida di altre, non è inquinante e costituirebbe la soluzione ideale per zone ad alto rischio di contagio come ospedali o case di riposo.
D’altra parte, al momento la produzione è ferma, perché non sono reperibili i pezzi (viti, lamine di metallo, supporti e quant’altro serva) per poterle assemblare, che normalmente provengono da artigiani attualmente non a lavoro per via delle norme in vigore. Sbloccare questa filiera produttiva potrebbe rappresentare un valido supporto alla lotta contro il Covid-19.