Ci sarà ancora da attendere per chi vorrà vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento a seguito della truffa dei diamanti, operata da cinque istituti di credito tra i più importanti in Italia e due società di rivendita di questo bene.
Durante il quinquennio 2012-2016, infatti, i clienti di Unicredit, Banco BPM, Intesa Sanpaolo, Banca Aletti e Monte dei Paschi sono stati raggirati e convinti ad investire su un bene che, in realtà, non era così profittevole come prospettato dagli operatori bancari.
I risparmiatori si sono lasciati convincere dai propri consulenti finanziari ad investire nel mercato dei diamanti, che prospettava guadagni notevolmente superiori ai titoli di Stato, attestandosi sul 3-4% annuo di profitto. In realtà, queste quotazioni mostrate erano pesantemente gonfiate, ma i clienti, rei soltanto di non essere esperti in questo ambito, non potevano accorgersene.
All’inizio la collaborazione tra le due società di rivendita, la IDB (Intermarket Diamond Business di Milano) e la DPI (Diamond Private Investment di Roma), e le banche in questione doveva limitarsi ad una semplice esposizione di materiale pubblicitario. In breve tempo, d’altronde, si è trovato questo escamotage per aumentare gli introiti per entrambe le parti a danno dei clienti.
Le banche infatti hanno aumentato sensibilmente i propri utili, dal momento che oltre a guadagnare in funzione di intermediari della vendita, esse traevano vantaggio anche dalle somme spese dai clienti per i vari adempimenti burocratici necessari a formalizzare la vendita. Ogni assicurazione, ogni certificazione etica o gemmologica, non facevano che aumentare il denaro che entrava nelle casse degli istituti di credito, che quindi rimpolpavano sempre di più i propri introiti.