Al giorno d’oggi appare quasi scontato depositare denaro sul conto corrente per accumulare risparmi, e averli a disposizione in qualsiasi momento per qualsivoglia esigenza. D’altronde, ormai il conto è diventato uno strumento indispensabile non solo per ricevere accrediti di stipendi, borse di studio o altro ancora, ma anche per potersi autenticare nell’ambito di alcuni servizi – vedi Lepida, che consente di creare la propria SPID da remoto e include tra i passaggi un bonifico simbolico, anche di pochi centesimi, per confermare la propria identità.
Al tempo stesso, non sempre tenere denaro fermo sul conto corrente rappresenta la migliore strategia per mantenerlo intatto in termini di valore e di importo numerico. Stando ad una statistica elaborata e pubblicata nelle ultime settimane, si stima che su 1.000 euro depositati, ben 820 potrebbero essere persi in 5 anni (senza alcun prelievo, chiaramente) soltanto per i costi che un conto corrente comporta e per l’inflazione cui la moneta è soggetta.
Denaro sul conto corrente: perché tenerlo in deposito non è la scelta più saggia
A determinare il crollo del saldo sul conto corrente intervengono diversi fattori.
Il primo da considerare, per ordine di priorità, è senza dubbio l’inflazione: il denaro, nel tempo, perde valore perché aumenta il costo della vita e automaticamente il prezzo di ogni bene, essenziale e non. Pertanto, una stessa quantità di denaro potrebbe non essere più sufficiente, dopo qualche anno, ad acquistare il medesimo oggetto o a fruire del medesimo servizio.
La seconda causa di perdita di denaro dal conto corrisponde alla tassazione cui è soggetto ciascun correntista. Potrà sembrare di scarso rilievo, ma in realtà, dati alla mano, è un fattore di interesse primario.
Basterebbe considerare quanto gravino sul deposito elementi come le commissioni per il servizio e l’imposta di bollo. Pur considerando un tasso d’interesse sulle somme depositate pari a zero, si pagano imposta di bollo annuale pari a 34,20 euro, costi di gestione (che mediamente si attestano attorno ai 145 euro)– ma che possono variare in base alla banca di riferimento – e ad un introito mancato dall’eventuale investimento delle medesime somme che è compreso tra l’1,1% e il 4% circa.