La pandemia di coronavirus sta, in modo a dir poco radicale e forse indelebile, modificando varie dinamiche della vita di ognuno di noi a livello a dir poco planetario, il virus ha messo in ginocchio le grandi potenze, le quali hanno dovuto immediatamente prendere in mano le redini della situazione onde evitare di far andare il tutto fuori controllo.
In questo contesto, la tecnologia ha recitato un ruolo di primaria importanza, sia dal punto di vista sanitario, che di tutto il resto del mondo del lavoro, basti pensare all’estrema importanza rivendicata dallo smart working, il quale ha permesso di continuare a svolgere il proprio lavoro ad alcuni dipendenti evitando il blocco completo di ogni nazione.
In tutto questo contesto però, abbiamo assistito ad una piccolo grande fallimento, quello dell’Intelligenza artificiale, la quale all’inizio aveva dato grande entusiasmo visto il suo possibile uso per contrastare l’epidemia, cosa che però poi è culminata in un grande buco nell’acqua, dal momento che, si è visto come nessun’IA sia ancora in grado al momento di sostituirsi a quella umana, per le IA forti c’è ancora da attendere, i tempi non sono maturi.
I punti del fallimento
Sul fallimento dell’Intelligenza Artificiale nella lotta al virus, emergono almeno quattro punti fondamentali da prendere in considerazione, vediamoli insieme.
Partiamo da quello più ovvio, come già detto prima, non esiste attualmente un’IA in grado di replicare in modo efficace quella umana, la quale mostra ancora una volta come l’inventiva e la capacità di gestire una situazione multi fattoriale, sia un punto ancora troppo lontano per quelle artificiali, le quali in circostanze ristrette e molto specializzate riescono a fare grandi miracoli, ma non sono in grado di gestire un qualcosa di pluricontestuale.
Passiamo al secondo punto, gli algoritmi di elaborazione delle IA hanno bisogno di tempo per analizzare grosse quantità di dati, in modo da imparare a gestire una determinata situazione, da ciò si intuisce come, la sua stessa natura al momento sia un limite, poichè l’IA si trova meglio con dati simili ed eventi ricorrenti, cosa che con il covid 19 non si è mai vista, dal momento che un virus tutto è tranne che costante e invariabile.
Proprio questa variabilità è alla base del terzo punto di questo fallimento, infatti un grande interrogativo che ha spaccato la comunità scientifica è quello che riguarda l’infettività del virus, il quale ha mostrato comportamenti molto diversi in virtù del contesto socio-economico in cui si andava a trovare, cosa che quindi, ha impedito all’IA anche di provare a prevedere la diffusione virale nelle varie zone del pianeta, dal momento che avrebbe dovuto analizzare un quantitativo di dati molto variabile da contesto a contesto, cosa difficile come sottolineato nel punto 2.
In ultima istanza abbiamo il fatto che, l’Intelligenza Artificiale per lavorare bene e in modo indipendente (O quasi), ha bisogno di ricevere in pasto dati di altissimo livello, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, nel dettaglio ciò significa che il singolo valore necessita di precisione e uniformità rispetto alle altre variabili, le quali devono esserci e anche in massa, in modo da aiutare l’IA a comprendere meglio il contesto che sta analizzando.
La verità che emerge da tutto ciò è che attualmente l’Intelligenza artificiale ha da dire in poche situazioni, in altre necessita in modo indissolubile della presenza della mente umana, la quale fornisce l’inventiva e l’intuitività che l’IA ovviamente non potrà mai avere, almeno in questa epoca.