I radiotelescopi sono telescopi che, a differenza di quelli classici che osservano la luce visibile, riescono a rilevare onde radio emesse dalle varie radiosorgenti sparse per l’Universo. Il tutto grazie ad una grande antenna parabolica o più antenne collegate su questi dispositivi. Proprio una rete di 36 radiotelescopi, situati nel Midwest australiano, ha permesso di mappare circa 3 milioni di galassie in 300 ore.
A riportare i risultati di questo intenso lavoro è uno studio pubblicato sulle pagine della rivista Pubblications of the Astronomical Society of Australia. Lo studio in questione riporta la firma di un team di astronomi dell’Australian Square Kilometre Array Pathfinder (ASKAP). Quest’ultima è una delle reti di radiotelescopi più grande finora utilizzata entrata in funzione, per la prima volta, nel 2012. Proprio grazie a questa rete gli astronomi hanno messo a punto una sorta di Google Maps di un’ampia zona del cielo. La mappa ottenuta, chiamata Rapid ASKAP Continuum Survey, copre l’83% dell’intero cielo che si può osservare dall’entroterra dell’Australia occidentale.
È il supercomputer Galaxy che ha elaborato i dati della rete di radiotelescopi
Per poter analizzare la grossa mole di dati proveniente dalla rete di radiotelescopi, gli astronomi hanno fatto ricorso ai supercomputer. Senza di essi, difficilmente, i quasi 13,5 exabyte di dati grezzi sarebbero stati elaborati, quantomeno non in sole 300 ore. Il supercomputer utilizzato è il Galaxy del Pawsey Computing Centre che ha convertito i dati grezzi in immagini contenenti un totale di 70 miliardi di pixel per 903 immagini finali. Immagini che riprendono all’incirca 3 milioni di galassie. Un numero davvero impressionante.
I radiotelescopi australiani hanno fornito davvero informazioni preziosissime che gli astronomi potranno utilizzare in futuro per eseguire ulteriori studi. Potrebbero infatti utilizzare i dati a loro disposizione per effettuare una sorta di “censimento” su vaste popolazioni di galassie. Si tratta di un importante sviluppo tecnologico che potrà consentire anche di guidare gli astronomi alla scoperta dello spazio profondo per la prossima generazione.