Il 2020, fra le altre cose, è stato un anno caratterizzato da moltissimi incendi di vaste proporzioni, che hanno portato ad uno scompenso importante nell’equilibrio della flora e della fauna di diversi territori. Australia, Siberia, e per non farci mancare nulla anche le fiamme che sono divampate presso la vecchia centrale nucleare di Chernobyl hanno determinato enormi disastri ecologici che ora impiegheranno secoli per ripristinarsi.
Avvenimenti catastrofici come questi vanno necessariamente correlati allo spaventoso aumento delle temperature che si sta verificando su tutta la superficie terrestre. Non tanto l’incendio in sé per sé andrebbe collegato a questo fenomeno, quanto la propagazione dello stesso, la sua durata e l’impossibilità dei soccorsi di estinguerlo efficacemente in breve tempo – tanto che in tutti i casi, a parte gli interventi di emergenza, sono stati costretti ad attendere che il fuoco si spegnesse da solo.
Ma quali conseguenze ha portato il divampare delle fiamme in un’area così delicata come lo è quella di Chernobyl?
Incendi a Chernobyl, un disastro nel disastro
Proprio lì, dove finalmente la flora stava riprendendosi con fatica i propri spazi, gli animali stavano ricominciando a popolare la distesa di boschi che si estende in quella che ancora oggi viene individuata come foresta rossa, il fuoco ha portato morte e desolazione, costringendo nel migliore dei casi la fauna a fuggire, se non perire per la mancanza di vie di fuga.
I droni che hanno sorvolato l’area hanno registrato immagini terrificanti e agghiaccianti, mostrando una zona molto vasta di terra bruciata laddove prima si ergevano maestosi alberi secolari.
A preoccupare gli studiosi, è stato anche il livello di radiazioni 16 volte superiori alla norma proprio in conseguenza dell’incendio.