Un nuovo corpo celeste accompagnerà la Terra nei prossimi mesi, ma contrariamente a quanto tutti pensavano, non si tratta di un asteroide.
La scoperta, fatta lo scorso 17 settembre, aveva evidenziato un ammasso apparentemente roccioso in avvicinamento, perciò ribattezzato 2020 SO. Stando alla traiettoria, sarebbe presto entrato nella Sfera di Hill, ossia quella porzione di orbita terrestre entro la quale un corpo risente maggiormente dell’attrazione del nostro pianeta rispetto a quella del Sole, e ne viene influenzato determinando un cambiamento nella rotta.
Ma alcuni scienziati erano scettici che potesse trattarsi effettivamente di un asteroide, e hanno approfondito ulteriormente con nuove osservazioni (divenute fra l’altro sempre più semplici da effettuare via via che l’oggetto si è avvicinato alla Terra). E ciò che hanno scoperto ha dello strabiliante.
2020 SO non è un asteroide: la scoperta del team di scienziati ha svelato la vera natura dell’ammasso in avvicinamento
La squadra di scienziati guidata da Vishnu Reddy ha chiarito la reale natura dell’oggetto. Secondo i calcoli, il corpo avrebbe solcato i nostri cieli per circa tre mesi a partire da inizi dicembre – momento di ingresso nella Sfera di Hill – ma le sue traiettorie apparivano sovrapponibili alle traiettorie teoriche di un altro oggetto volante, spedito nello spazio proprio dalla Terra.
La complessa integrazione dei calcoli aerospaziali con i dati dei lanci avvenuti negli scorsi decenni ha portato all’identificazione dell’oggetto come un modulo di un razzo Centaur, spedito nello spazio nientemeno che durante gli anni ’60 dalla NASA, e lì rimasto. Una sorta di detrito spaziale che non è mai stato riportato a terra e ha continuato a vagare nei dintorni del nostro pianeta.
Per quanto possa apparire di poco rilievo, in realtà quello dei detriti spaziali è un problema importantissimo agli occhi degli scienziati. Preservare lo spazio dalle manipolazioni dell’uomo è un tema all’ordine del giorno nelle discussioni degli esperti, ed è anche il motivo per cui Elon Musk, per ciascuno dei 40.000 satelliti che manderà in orbita nell’ambito del progetto Starlink, ha previsto un meccanismo di rientro presso la base terrestre.