Noi tutti abbiamo certamente sentito parlare o letto del disastro nucleare avvenuto a Chernobyl, una cittadina Ucraina che è divenuta tristemente famosa per aver ospitato uno dei più grandi disastri nucleari della storia, il quale portò all’abbandono in massa della città con un esodo senza precedenti per sfuggire alle tossine radioattive immesse nell’atmosfera dall’esplosione.
Il disastro avvenne nel lontano 26 Aprile del 1986, si compose di ben 2 esplosioni a distanza di pochi secondi l’una dall’altra che riguardarono il reattore numero 4, il quale, in seguito ad un surriscaldamento, cedette sotto le enormi pressioni del vapore al suo interno, provocando lo scoperchiamento del tappo che venne così scalciato via consentendo ad una nube super radioattiva di fuoriuscire ed essere liberata nell’atmosfera.
L’esplosione fu di natura fisica e non nucleare per fortuna, ciò non toglie però che i danni furono a dir poco mostruosi, infatti il reattore divenne irriconoscibile e la quantità di materiale radioattivo fuoriuscito era immensa, cosa che costrinse le nazioni coinvolte a costruire un sarcofago in cemento armato per tappare in modo permanente il reattore, onde evitare fughe pericolose.
Qualcosa ancora non si è spento
All’interno del reattore però, nonostante siano passati oltre trent’anni dall’incidente, qualcosa ancora è vivo e pulsante, cosa che preoccupa gli scienziati per le possibili ripercussioni sull’ambiente, stiamo parlando del così detto Piede d’Elefante, il quale costituisce ciò che di solido è fuoriuscito dal reattore quella notte, un miscuglio altamente radioattivo composto da grafite, sabbia, plutonio e uranio, il quale depositandosi ai piani inferiori della centrale ha assunto poi al forma che richiama il nome.
Al giorno d’oggi questo ammasso letale di materiale è ancora attivo e pericoloso, talmente tanto da poter uccidere un uomo senza via di scampo in circa 5 minuti di esposizione, fattore che probabilmente rende questo composto la cosa più letale del pianeta.