Un terzo vaccino contro il Sars-CoV-2 potrebbe arrivare a breve, il prodotto di Johnson e Johnson infatti potrebbe presto guadagnarsi l’approvazione da parte della Food and Drugs Administrations ed essere dunque adoperato in America ove la situazione si presenta come una delle più drammatiche.
La società sta ora raccogliendo tutti i dati che è riuscita a produrre in merito al suo principio attivo per poi inviarli alla FDA sperano nell’autorizzazione per l’uso d’emergenza, in modo da snellire i tempi burocratici altrimenti molto, troppo lunghi.
Il vaccino nasce dalla collaborazione di J&J’s Belgium-based vaccine division, Janssen Pharmaceutical, and Beth Israel Deaconess Medical Center e lavora in modo leggermente diverso da quelli che abbiamo già vista in Europa, vediamo di fare chiarezza.
I risultati e il funzionamento
Il vaccino di casa J&J è un prodotto a singola dose che ha mostrato un’efficacia del 66% nel prevenire le forme moderate e acute di covid-19 (che ricordiamo essere la sindrome da Coronavirus) durante i test di fase 3, andando più nel dettaglio, il vaccino ha una capacità di prevenire globalmente un’ospedalizzazione e la morte con un tasso dell’85% in tutte le regioni in cui è stato testato.
La sua efficacia nel prevenire le forme moderate e acute è variata da regione a regione, con un 72% in USA, 66% in America Latina e 57% in Sud Africa, con quest’ultima che vede circa il 95% dei casi, provocati da una variante genetica denominata B.1.351, la quale risulta più contagiosa e meno responsiva alla risposta immunitaria, sia a quella naturale post-infezione sia agli anti-corpi prodotti a seguito del vaccino, ciononostante però, coloro che avevano subito l’inoculazione del farmaco, a detta Dr. Mathai Mammen, mostravano un decorso più favorevole e sintomi più leggeri.
Il funzionamento di questo vaccino è simile ma allo stesso tempo diverso da quello dei vaccini europei, se infatti quelli Pfizer-BioNtech e Moderna, adoperano una micella lipidica per portare un mRNA all’interno delle cellule, quello di J&J sfrutta un vettore virale freddo (Non capace di replicare) derivato da un adenovirus inattivato per introdurre all’interno delle cellule il materiale genetico (Non DNA) necessario a far produrre ai ribosomi la proteina Spike per poi innescare il sistema immunitario, il vettore virale è stato prelevato dall’Adenovirus 26, il quale è stato ingegnerizzato dagli scienziati per entrare nelle cellule ma null’altro, esso infatti non può replicare e non può recare alcun danno in quanto difettivo di tutto il necessario.
Quindi a cambiare in soldoni rispetto ai vaccini europei è il carrier del vaccino, cosa che però si traduce in un grande vantaggio, esso infatti non necessità di una crio-conservazione, dal momento che gli involucri capsidici dell’Adenovirus 26 sono in grado di resistere a temperatura tra 2,2°C e 7,7°C per addirittura 3 mesi.