Una delle sfide che ha visto maggiormente impegnati gli scienziati in questi mesi consiste nel trovare nuove strategie diagnostiche per il Covid-19, o quantomeno ottimizzare quelle preesistenti.
Un aspetto molto importante in quest’ambito riguarda la capacità di discernere in anticipo quali saranno i soggetti che, contraendo il virus, rischieranno maggiormente di sviluppare una sintomatologia grave e quali invece i pazienti che riusciranno a cavarsela con sintomi lievi o del tutto assenti.
Nei mesi abbiamo appreso che vi sono alcuni fattori predisponenti in questo campo, come ad esempio l’obesità o l’ipertensione, così come aver sofferto di patologie pregresse o di avere in atto altre infezioni o malattie (comorbidità).
Eppure il Covid non si manifesta in forma grave solo nei pazienti che abbiano questa correlazione: deve esserci altro a far rischiare anche a pazienti perfettamente sani la terapia intensiva.
Una risposta alla domanda potrebbe venire da uno studio dell’Università di Cambridge
, in Inghilterra, che avrebbe individuato un parametro sostanzialmente omologo tra i pazienti che sviluppano una forma grave di Covid, pur partendo da condizioni di salute differenti.Si è notato infatti che il livello di citochine – messaggeri chimici che segnalano all’organismo lo stato di infiammazione e infezione – al momento dell’insorgenza dei sintomi, nei primi giorni, potrebbe risultare un’ottima fonte di informazioni circa il possibile decorso della malattia: in soggetti in cui il livello di citochine risulti innalzarsi, ma non eccessivamente, si verifica una risposta immunitaria adeguata; laddove il paziente invece presenti un innalzamento fuori norma del livello di citochine, il sistema immunitario potrebbe non essere sufficientemente pronto a fronteggiare l’infezione e si potrebbe sviluppare sintomatologia grave.
Gli studi sono attualmente in corso, e non hanno individuato ancora un’unica via di interpretazione, ma avere già una strada potrebbe aiutare ad arrivare più prontamente a riconoscere in anticipo i soggetti più a rischio di finire in terapia intensiva.