Le mascherine usa e getta rappresentano la nuova minaccia ecologica. Un anno di pandemia ha dato come risultato il vertiginoso aumento dell’inquinamento da prodotti non riciclabili, come appunto le mascherine chirurgiche nonché le FFP2 ed FFP3. Ci vogliono ben 450 anni affinché un simile prodotto possa decomporsi: la porzione posta a protezione, infatti, non è in vero e proprio tessuto, bensì in polipropilene, un polimero plastico.
Uno dei maggiori problemi da affrontare a livello di impatto ambientale, ad oggi, consiste proprio nello smaltimento delle mascherine; non possono essere destinate al riciclo in quanto costituite da tre materiali differenti, ossia la copertura, gli elastici e la sbarretta in metallo per aderire al volto.
In Australia, però, starebbero sperimentando un metodo alquanto originale per destinare questi rifiuti così complessi da trattare ad un nuovo impiego: utilizzarli per formare lo strato che costituisce il manto stradale.
Mascherine, c’è chi le getta in discarica e chi le riutilizza sapientemente
Uno studio condotto dai ricercatori del Royal Melbourne Institute of Technology ha mostrato come la combinazione di calcestruzzo demolito e mascherine triturate possa essere impiegato per costruire nuove strade.
Il materiale che ne deriva, infatti, risulterebbe conforme agli standard di sicurezza nell’ambito dell’ingegneria civile e preverrebbe l’accumulo di una notevole quantità di rifiuti altrimenti destinati alla discarica. Si calcola infatti che un solo km di strada a due corsie arrivi a impiegare ben 3 milioni di mascherine, che altrimenti costituirebbero 93 tonnellate di rifiuti.
Le strade così costruire sarebbero “migliori, più forti e più flessibili”, come ha spiegato il responsabile della ricerca Muhammad Saberian. Il che risulterebbe estremamente utile nel sopportare gli aumentati carichi del traffico senza mancare in solidità e stabilità.
Una sapiente declinazione di economia circolare da prendere assolutamente ad esempio.