In più, Shcherbina, ci ha tenuto anche ad affermare, sempre tenendo conto degli incendi dello scorso anno, che diverse particelle radioattive sono state gettate nell’atmosfera, andandosi ad introdurre nel suolo e nell’acqua. In questo modo sono entrate nel “ciclo geochimico” e “migrando, conducono la contaminazione radioattiva secondaria”.
“E così le le precedenti mappe di percorsi turistici nella zona di esclusione, per esempio, sono diventate obsolete“, ha osservato il capo dell’associazione. In più, il suddetto ha anche evidenziato che, nei primi anni successivi al disastro di Chernobyl, nella zona di esclusione è stato piantato un numero di alberi di pino molto grande per andare ad accumulare e contenere particelle radioattive dal terreno e dalle acque sotterranee.
Gli ecosistemi forestali che ci sono, nonostante ciò, non svolgono più la loro principale “funzione di barriera“. Di fatto, oltre 11 mila ettari di foreste vicino alla zona di esclusione di Chernobyl sono stati distrutti da grandi incendi nella metà del 2020, facendo sì che si venisse a creare un picco di radiazioni nell’area.