Nelle ultime settimane il dibattito politico, pubblico e sanitario si è concentrato sul nuovo allarme causato dalle varianti del Covid-19. Una in particolare preoccupa pesantemente gli esperti e i governanti, che in queste ore stanno affrontando il tema delle prossime misure da mettere in atto per contrastarne la diffusione, ed è la variante inglese. Ma anche quella sudafricana, così come la variante brasiliana risultano di particolare rilievo.
Cosa implica però la circolazione di una variante del virus? E perché bisogna prestare attenzione e predisporre strategie per limitare il contagio dato da queste varianti?
Per avere una risposta bisogna prima chiarire cosa significhi “variante” nell’ambito dei virus e soprattutto di questo Sars-CoV-2.
Nel momento in cui un virus si diffonde, il risultato della sua replicazione (ossia della produzione di nuove copie del virus) all’interno degli organismi che infetta non è sempre identico all’originale.
Il virus può infatti mutare nel suo corredo genetico man mano che infetta nuovi individui, producendo quindi delle “varianti” del virus (o meglio del ceppo) iniziale.
In questo caso, diffondendosi, il Sars-CoV-2 si è modificato rispetto al ceppo iniziale, per intenderci quello proveniente dalla Cina. E non una sola volta: al mondo attualmente esistono centinaia di varianti di questo Coronavirus,
per via della sua larga e ramificata diffusione.Non tutte le varianti, però, risultano di interesse clinico. Il virus può infatti mutare in varianti di minor potenza o di più lenta diffusione, così come può modificarsi in varianti che si trasmettono più rapidamente e si manifestano con sintomi più gravi. Quest’ultimo è il caso della cosiddetta variante inglese (Variante VOC 202012/01, nota anche come B.1.1.7), ed è il motivo per cui bisogna prestarvi particolare attenzione.
Si stima che sul totale dei casi Covid attualmente presenti in Italia, il 30% appartiene alla variante inglese. Entro metà marzo, la maggior parte dei positivi risulterà afferente a questa variante. La questione preoccupa non poco, vista l’aggressività con cui questa mutazione si presenta nei pazienti, ma una speranza potrebbe comunque arrivare dai vaccini in fase di somministrazione.
Premesso che il vaccino rappresenta uno strumento di profilassi (prevenzione prima dell’infezione) e non una cura, al momento i preparati in uso dovrebbero essere efficaci anche nei confronti delle varianti. Non vi è ancora certezza, visto che gli studi sono attualmente in corso d’opera, ma gli scienziati sono fiduciosi in questa prospettiva.