Cresce la preoccupazione per la cosiddetta “variante inglese” del Covid, altresì nota come B.1.1.7, che si sta diffondendo in tutta Europa e anche sul nostro territorio italiano. Attualmente, si stima che circa il 30% dei casi di Covid vadano ascritti a questa mutazione del virus.
Come è possibile, però, distinguere questa variante dalla forma iniziale che aveva preso il Coronavirus circolante in Italia? La differenza, prima di arrivare a test molto specifici di natura molecolare, è già visibile dai sintomi.
La variante inglese si caratterizza per una maggiore aggressività e per una facilità di trasmissione superiore rispetto a quella del ceppo noto di Coronavirus. Insieme a questo, alcuni sintomi sono specifici della variante, pertanto è possibile individuarla ancor prima di effettuare esami più approfonditi.
Normalmente, l’infezione da Covid si presenta con dei sintomi simili a quelli più tipici dell’influenza, e anche piuttosto aspecifici: uno su tutti, la febbre.
Si è notato, però, che su un campione statistico di 3.500 persone analizzate, la variante inglese si è manifestata con una sintomatologia composta da tosse, affaticamento,
dolori muscolari e articolari, mal di gola.Nello specifico, anche ponendo in rapporto all’infezione della variante iniziale
I pazienti presentanti la variante inglese hanno inoltre riferito in meno casi la perdita del senso del gusto e dell’olfatto: si è passati dal 18% dei casi nella variante normale al 15% dei pazienti per la B.1.1.7.
Sintomi più “atipici”, invece, includono forte debolezza e spossatezza – spesso prima ancora dell’insorgenza dei sintomi più frequenti – e a questi si associano problematiche di natura neurologica, come vertigini, malessere e nausea.