Da qualche mese sentiamo parlare delle nuove varianti del nuovo coronavirus.Il fatto che SARS-CoV-2 sia un virus ad RNA lo rende più propenso a mutare, soprattutto durante la trasmissione da un ospite all’altro. Tali mutazioni interessano, prevalentemente, il gene che codifica per la proteina Spike, la “chiave” che il virus utilizza per entrare all’interno delle nostre cellule. Mutando questo gene, questo nemico invisibile riesce ad avere sempre facile accesso alle cellule e tutto ciò, ovviamente, preoccupa gli esperti poiché queste varianti potrebbero rendere inefficaci i vaccini oggi disponibili. Ma oltre alle varianti di SARS-CoV-2 già note finora, sembrerebbe che abbiano fatto la loro comparsa negli USA ben sette nuove “forme” di questo agente patogeno.
A dare notizia di queste nuove varianti individuate negli USA è uno studio preliminare pubblicato sul sto online medRxiv da un gruppi di virologi della Louisiana State University. Nel loro lavoro, gli scienziati mettono in evidenza la presenza di sette nuove varianti emergenti di coronavirus proprio negli Stati Uniti. Si tratta di varianti di SARS-CoV-2 caratterizzate tutte da simili mutazioni sulla proteina Spike. Queste nuove “forme” del virus, pur essendosi evolute in modi e luoghi differenti, condividono una mutazione genetica. Stiamo parlando della mutazione che modifica l’aminoacido numero 677 della catena polipeptidica.
Le sette varianti identificate negli USA sarebbero emerse tra agosto e novembre 2020. Inoltre, secondo i virologi, in tutti e sette i lignaggi si sarebbe affermata più volte la stessa mutazione, in modo indipendente. Probabilmente non si tratta di una semplice coincidenza. La spiegazione più plausibile, infatti, sarebbe quella secondo la quale le mutazioni che si localizzano in posizione 677 si sarebbero affermate più volte. Si tratterebbe dunque di un’evoluzione convergente che, però, ad oggi, non si sa se renda le varianti statunitensi di SARS-CoV-2 più contagiose delle atre identificate nel mondo.