I lemuri, nell’immaginario comune, sono considerati come gli antenati dei primati più prossimi ed evoluti. Sebbene presentino analogie di carattere morfologico e comportamentale con i primati primitivi, questi animali discendono da questi ultimi proprio come gli altri primati attualmente viventi. Sembrerebbe che dal letargo dei lemuri possano essere ricavate informazioni ed istruzioni fondamentali ed importanti per svelare i segreti dell’ibernazione umana.
A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla celebre rivista Scientific Reports da un team di scienziati del Duke Lemur Center in North Carolina. Nel loro laboratorio, i ricercatori statunitensi sono riusciti a ricreare le giuste condizioni ambientali per indurre otto lemuri nani dalla coda grossa in cattività, a congelare le loro funzioni vitali così come fanno in inverno quelli che vivono liberi nelle foreste del Madagascar. Per riprodurre le condizioni ambientali idonee al letargo, gli scienziati hanno realizzato strutture in legno molto simili alle cavità presenti negli alberi in cui questi piccoli animali si rifugiano d’inverno. Essi hanno altresì ridotto le ore di luce da 12 a 9.5 e hanno anche abbassato la temperatura da 25°C a circa 10°C. I ricercatori hanno offerto agli animali del cibo solo nel momento in cui erano svegli ed attivi e hanno anche monitorato il loro peso corporeo per due settimane
.I risultati delle prime analisi eseguite dagli scienziati americani hanno dimostrato che gli otto lemuri godevano di ottima salute. Inoltre, al risveglio dal letargo durato quattro mesi, essi avevano perso il 35% del loro peso iniziale. Ma, quasi in maniera immediata, dopo il risveglio, il battito cardiaco e l’appetito sono ritornati alla normalità. Il passo successivo sarà quello di utilizzare sensori non invasivi al fine di comprendere come i lemuri preparano il loro organismo al letargo e come poi lo risvegliano. Si tratta di informazioni davvero molto interessanti che potrebbero, in futuro, rivelarsi molto utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per malattie come, ad esempio, l’infarto o l’ictus. Inoltre, tale conoscenza potrebbe contribuire a svelare finalmente i segreti dell’ibernazione, potenzialmente utile per salvare la via a pazienti in gravi condizioni di salute oppure, per rendere più agevoli i lunghi viaggi degli astronauti nello spazio.