Ormai è la forma di SARS-CoV-2 prevalente in Italia, come già gli epidemiologi avevano preannunciato il mese scorso: la variante inglese è responsabile di circa l’80% dei casi di Covid-19 sul territorio nazionale.
Un dato che mette in allerta, soprattutto per le caratteristiche con cui la mutazione si presenta al momento dell’infezione: i sintomi sono tendenzialmente più gravi rispetto al virus wild type (ossia il virus di partenza) e l’outcome della malattia è più sfavorevole che nell’infezione cui eravamo abituati fino a qualche mese fa.
Il dilagare della variante inglese, conosciuta anche con la denominazione B.1.1.7, preoccupa anche per alcuni nuovi sintomi, associati a quelli già noti, che si manifestano peculiarmente con questa infezione: riconoscerli, però, potrebbe aiutare ad intervenire tempestivamente nel riconoscere il caso Covid-19.
I sintomi più tipici dell’infezione del Coronavirus appaiono con un’incidenza superiore nella popolazione che si è ammalata della variante inglese. Questo significa che quelli che già erano riconosciuti come segnali del contagio
si presentano con maggiore frequenza in chi ha contratto la mutazione inglese. Nello specifico, in uno studio effettuato su 3500 pazienti risultati positivi alla variante B.1.1.7:A questi sintomi, però, se ne sono aggiunti di nuovi piuttosto “atipici” rispetto all’infezione di partenza. Se da una parte si tratta di una cattiva notizia per i pazienti, dall’altra rappresenta un risvolto positivo per far sorgere il sospetto dell’infezione, e che si tratti della variante inglese. In particolare, questi sintomi includono debolezza e spossatezza (sintomi riscontrati nella maggior parte dei pazienti positivi alla mutazione), nonché anche problemi di natura neurologica come vertigini e malessere generalizzato, talvolta associati anche a nausea.