Per estrarre il DNA antico, fino ad oggi, gli scienziati hanno sempre fatto ricorso a reperti fossili principalmente rappresentati da ossa e denti fossili. Ma sembra che, a partire da oggi, i fossili non saranno più indispensabili per eseguire l’estrazione ed il sequenziamento del DNA antico, ma si potrà ricorrere anche ai sedimenti.
A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulle pagine della autorevole rivista scientifica Current Biology. La ricerca in questione riporta la firma di un team di scienziati dell’Università di Copenaghen guidati dal paleoecologo Mikkel Winther Pedersen. Con il loro lavoro, i ricercatori danesi hanno dimostrato che il DNA antico può essere estratto e sequenziato anche a partire dai sedimenti. In particolare, il primo esempio giunge a noi dalla caverna di Chiquihuite in Messico nella quale alcuni ricercatori hanno recuperato e ricostruito le sequenze genetiche di tre orsi neri e di un esemplare di orso dal muso corto. Si tratta di animali vissuti circa 16.000 anni fa.
Gli scienziati hanno confermato che nel momento in cui un animale o un essere umano soddisfano i propri bisogni fisiologici, dall’organismo vengono escrete anche delle cellule. Proprio il DNA contenuto all’interno di queste cellule sono quei frammenti genomici che è possibile ritrovare nei campioni di suolo. I ricercatori di Copenaghen, utilizzando sofisticate tecniche di sequenziamento, sono riusciti a ricostruire per la prima volta i genomi sulla base di questi frammenti. Ciò dimostra che non solo i denti e le ossa, ma anche i sedimenti possono rappresentare delle ottime fonti dalle quali estrapolare, sequenziare ed analizzare il DNA antico. Questo, ovviamente, vuol dire che siamo riusciti ad aprire una nuova frontiera che dimostra come i fossili non siano più così indispensabili come si pensava finora.