Nell’ultimo anno abbiamo sentito tutti parlare di criptovalute e nel dettaglio dei Bitcoin, la famosa valuta decentralizzata che ha conquistato i mercati finanziari raggiungendo un valore al cambio record di 60.000 dollari, numeri da capogiro dunque, legati alla sua intrinseca natura, ovvero la sua forte anima deflazionistica e il totale anonimato delle parti coinvolte nelle transazioni.
Tutto ciò ha convinto un grande fan delle criptovalute a puntarci, stiamo parlando di Elon Musk, il quale rimasto entusiasta di tutto il contesto, ha implementato la cripto come metodo di pagamento per le sue auto Tesla, azione che ha fatto schizzare il valore della moneta ma che, neanche un mese dopo, è stata seguita da un dietrofront abbastanza clamoroso quanto radicale, infatti il patron di Tesla ha rimosso Bitcoin con la motivazione che queste monete inquinano troppo.
La prima crepa nel sistema
La scelta di Elon Musk, per quanto rispecchi il classico atteggiamento imprevedibile del patron di Tesla, lascia molto da riflettere, “I Bitcoin inquinano troppo“, questa la motivazione ufficiale che dovrebbe fare pensare chi coinvolto se effettivamente la moneta vale quanto consuma, i bitcoins infatti per essere estratti, sfruttano il modelli proof-of-work, in cui i minatori, validando i vari blocchi della blockchain, vengono ricompensati in bitcoin in quella che è una competizione dove il più potente dal punto di vista della elaborazione vince, ciò però, si traduce in mining farm mostruose e dai consumi enormi.
Una transazione effettivamente per essere validata necessita di tanta potenza, cosa che porta la proporzione a una transazione in bitcoin equivalente a circa 750.000 transazioni tradizionali, con un consumo di corrente equivalente a quello dell’intera Argentina.