Nell’ultimo abbiamo assistito ad un boom imponente da parte delle criptovalute, le monete decentralizzate hanno infatti registrato una crescita davvero esponenziale guidata dal faro Bitcoin, il quale è arrivato a toccare quotazioni al cambio davvero mostruose, soprattutto a seguito dell’implementazione come sistema di pagamento da parte di Tesla, evento che ha fatto schizzare il valore a ben 60.000 dollari.
Dopo questo picco record però, è avvenuto un dietrofront tanto radicale quanto clamoroso, Elon Musk ha fatto infatti rimuovere il Bitcoin tra i metodi di pagamento sostenendo che la criptovaluta fosse troppo inquinante per i suoi standard, effetto negativo sull’ambiente a cui il patron di Tesla non vuole contribuire.
Quanto inquina il Bitcoin
L’elevato tasso di inquinamento legato al Bitcoin è direttamente correlato con la natura intrinseca della valuta, essa infatti, sfruttando la rete Bitcoin le cui transazioni sono validate attraverso il modello blockchain che opera sullo standard proof-of-work, necessita di una grande quantità di potenza di elaborazione, cosa che si traduce in consumi di corrente mostruosi.
Secondo un’analisi dati condotta dall’Università di Cambridge e dall’International Energy Agency è emerso che il mondo del mining consuma energia ad un ritmo all’incirca di 120 terawattora all’anno, circa quanto una nazione di medie dimensioni, con la previsione che tali consumi saliranno a circa 147,8, valore probabilmente doppio se prendiamo in considerazione anche tutte le altre criptovalute esistenti.
Per quanto riguarda l’anidride carbonica, tali dati si traducono in emissioni pari a circa 22-22,9 tonnellate in un anno, livelli paragonabili a quelli prodotti dalla Giordania o dallo Sri Lanka.