Non tutti i vaccini funzionano allo stesso modo. Ad esempio, dopo la somministrazione delle due dosi, Pfizer arriva ad una copertura del 95%, Moderna del 94%, AstraZeneca varia dal 62% al 90% (seconda dose dopo tre mesi) e Johnson&Johsnon, l’unico monodose, arriva al 66%. L’efficacia delle dosi varia in base a tempo, luogo e criteri.
A parlarne troviamo innanzitutto Giovanni Di Perri, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia e della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Torino. Egli ha spiegato: “Il motivo principale è che si tratta di una pandemia che ha delle ondate: se si ha la fortuna di programmare lo studio in un momento di grande intensità di trasmissione, può effettivamente avere dei dati diversi rispetto ad un altro studio in cui la diffusibilità dell’infezione è minore. Quindi, benché le premesse sono le stesse, verosimilmente in una certa fase è più facile avere una condizione propizia per cogliere un certo numero di casi rispetto ad altre circostanze”.
Ed ha proseguito: “Dipende, però, anche dall’età dei soggetti che sono stati arruolati, anche questa è una variabile importante. Il primo elemento è l’intensità di infezione nel periodo in cui si fa lo studio, il secondo elemento è anche la misura in cui i soggetti più suscettibili a sviluppare la malattia sono inclusi”. Ed ha poi specificato: “Questo perché ne avevano arruolati pochissimi, la maggior parte della popolazione avrebbe fatto spontaneamente una malattia senza sintomi. Quando poi hanno ampliato la casistica ed hanno pubblicato i nuovi risultati lo scenario è cambiato: in particolare, in chi faceva la seconda dose AstraZeneca 12 settimane dopo la prima, si vedeva benissimo che l’efficacia saliva all’82% avendo studiato un bel numero di soggetti anziani che permetteva di trarre delle conclusioni”.