Secondo i ricercatori i sensori di prossima generazione, soprannominati “neurograni“, possono registrare in modo indipendente impulsi elettrici e inviare questi segnali in modalità wireless ad un hub centrale. La maggior parte dei sistemi di interfaccia cervello-computer (BCI) utilizza uno o due sensori per campionare fino a poche centinaia di neuroni. La raccolta di dati da gruppi più grandi di cellule cerebrali può, quindi, rivelare maggiori informazioni sul funzionamento del nostro cervello.
“Finora, la maggior parte dei BCI sono stati dispositivi monolitici. L’idea del nostro team è quella di suddividere quel monolite in minuscoli sensori”, spiega il ricercatore Nurmikko. Per raggiungere questo obiettivo è necessario ridurre la complessità elettronica dello strumento che rileva, amplifica e trasmette i segnali neurali. Nell’attuale studio sui roditori, il dispositivo esterno è una piccola toppa – delle dimensioni di un’impronta di un pollice – che si attacca al cuoio capelluto del cranio. Secondo gli scienziati, questa patch funziona come una torre di telefoni cellulari in miniatura. Coordina i segnali dei neurograni, ognuno dei quali ha il proprio indirizzo di rete.
“La nostra speranza è che alla fine possiamo sviluppare un sistema che fornisca nuove conoscenze scientifiche sul cervello e nuove terapie che possano aiutare le persone colpite da lesioni solitamente irrecuperabili“, prosegue Nurmikko. Una scoperta che rivoluzionerebbe non solo il mondo tech ma anche quello medico.