Gli scienziati cileni che studiano gli organismi in uno dei luoghi più remoti della Terra stanno esortando i leader regionali a intensificare gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico.
Una recente spedizione, ritardata di un anno a causa della pandemia di coronavirus, ha cercato di indagare sugli organismi nocivi e sull’impatto che hanno sul cambiamento climatico.
La regione cilena di Magallanes, che si trova sulla punta meridionale del Sud America, dove si incontrano gli oceani Atlantico e Pacifico, è conosciuta come la “fine del mondo” e si estende da Punta Arenas attraverso lo stretto di Magallanes fino al Canale di Beagle.
Navigando attraverso stretti allineati tra ghiacciai e uccelli in volo, gli scienziati a bordo della nave da ricerca oceanografica Cabo de Hornos si sono concentrati sull’acqua, che ha livelli di acidità, sale e calcio inferiori rispetto ad altri mari e oceani, specialmente nella loro parti più superficiali.
Le parole degli scienziati
Gli scienziati ritengono che le condizioni presenti nell’acqua appariranno in altre parti del mondo nei prossimi decenni, con l’aumentare dell’impatto dei cambiamenti climatici.
“I piani regionali per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono obsoleti rispetto a ciò che sta accadendo nell’ambiente“, ha affermato Jose Luis Iriarte, che ha guidato la spedizione.
“L’ambiente sta cambiando più rapidamente di quanto noi come società stiamo rispondendo ad esso”. La missione scientifica ha prestato particolare attenzione alle “maree rosse”, fioriture algali dannose che possono far diventare rosso il mare.
Sono stati registrati per la prima volta nella regione di Magallanes mezzo secolo fa e da allora sono stati responsabili della morte di 23 persone e dell’avvelenamento di oltre 200.
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Questa zona è anche interessata dallo scioglimento dei ghiacciai, un prodotto del riscaldamento globale. “Non sappiamo come questi organismi e in particolare i microrganismi risponderanno a questi effetti“, ha detto Iriarte.
La spedizione si è fermata in 14 punti, prelevando ogni volta campioni d’acqua a diversi livelli fino a una profondità di 200 metri utilizzando un attrezzo chiamato rosetta. Un’altra attrezzatura è stata utilizzata per raccogliere campioni di terreno, a volte a una profondità di oltre 300 metri.
Dal punto più alto della barca, il biologo marino Rodrigo Hucke, uno dei 19 scienziati della spedizione, ha trascorso ore a scrutare la superficie dell’acqua.
Avvistando una balena lontana, dava il segnale e poi saltava su un piccolo motoscafo per cercare di avvicinarsi il più possibile all’enorme mammifero nel tentativo di raccogliere le sue feci, con l’obiettivo di cercare cambiamenti nella sua dieta.
Hucke afferma che c’è stata una storica mancanza di azione da parte dei governi per quanto riguarda gli oceani, che coprono il 70% della superficie del pianeta.
Spera che la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – COP27 in Egitto – segnerà una vera trasformazione globale nel modo in cui vengono gestiti gli oceani.