In una vita di incertezze, l’unica sicurezza è che bisogna sempre fare attenzione a ciò che scriviamo nelle chat Whatsapp perché il destinatario potrebbe fare “la spia” da un momento all’altro. Ma soprattutto bisogna agire con cautela se si vuole parlare male del proprio capo, perché in questo caso le conseguenze potrebbero essere molto gravi.
Whatsapp: parlar male è reato di diffamazione?
Se prima a parlar male non ci si rimetteva nulla (se non una brutta figura), ora bisogna fare attenzione a ciò che si scrive sulle app come Facebook o Whatsapp, perché in alcuni casi si finisce addirittura nel reato di diffamazione. Ma perché i Tribunali Amministrativi Regionali sono arrivati a tale conclusione? Innanzitutto il lavoratore dipendente che parla male del capo rischia il licenziamento se non addirittura una condanna penale in caso di querela.
La chat di WhatsApp ovviamente non sarà mai pubblica come la bacheca di Facebook, pertanto secondo la Corte Costituzionale non può essere giudicato reato di diffamazione parlare male del capo sulla chat dell’App con i colleghi. Ma il TAR non condivide tale teoria. In altre parole, secondo quest’ultimo la rilevanza disciplinare prevale sull’insussistenza della diffamazione e i lavoratori coinvolti rischiano ripercussioni tanto severe quanto la gravità di ciò che è stato detto.
I giudici: «non conta la natura la privata della conversazione se è l’interlocutore a rivelarla all’amministrazione: la rilevanza disciplinare prevale sull’insussistenza della diffamazione». Insomma, l’amministrazione è in forte contrasto con quanto stabilito dalla Cassazione. Questa dichiara che non esiste alcuna libertà violata né tantomeno la segretezza della conversazione quando a rivelarne il contenuto è uno dei partecipanti.