La potenza di calcolo richiesta per supportare la rete dei Bitcoin ora richiede quasi la stessa energia dell’intero paese dell’Argentina, il che porta a critiche sul suo impatto ambientale. Un’analisi recente dell’Università di Cambridge suggerisce che il Bitcoin utilizza più di 121 terawattora (TWh) all’anno. Se fosse un Paese, sarebbe nella top 30 di quelli che consumano più energia in assoluto. Tuttavia, per quanto la situazione sia drastica, non è così tragica come sembra.
La quantità di energia consumata per produrre Bitcoin non è stata rilevante fino al 2017, quando un importante aumento dei prezzi ha spinto drasticamente il suo fabbisogno energetico al livello di un piccolo Paese. “Più il suo prezzo aumenta, maggiore è la concorrenza per la valuta e quindi più energia consuma”. Il processo di mining
richiesto per generare nuove unità di criptovaluta comporta la risoluzione di equazioni matematiche complesse, che attualmente richiedono grandi quantità di potenza di elaborazione del computer. Fortunatamente, ci sono soluzioni in fase di attuazione, con alcune strutture minerarie ecologiche già operative su vasta scala.In Islanda e Norvegia, dove quasi il 100% di tutta la produzione di energia è rinnovabile, i minatori di criptovaluta stanno sfruttando l’energia idroelettrica e geotermica a basso costo per alimentare le loro macchine. Le basse temperature nei paesi aiutano anche a ridurre i costi raffreddando dei server. “Il Bitcoin può fare un bene incredibile al mondo. È un patrimonio tecnologico, è un falso mito che sia solo nocivo. [Ma] altre criptovalute utilizzano meno energia”. Dunque, per quanto abbia risvolti positivi dal lato economico, una maggiore attenzione all’ambiente non può che far del bene.