I piccoli virus che da sempre sono stati nemici dell’uomo, ora possono diventare preziosi alleati nella cura dei tumori. Un recente studio ha messo in luce le potenzialità.
Tumori: Il virus modificato geneticamente può selezionare e aggredire le cellule malate
Un virus che può uccidere tumori, la recente scoperta messa a punto dai ricercatori e pubblicata su Nature Medicine.
Questa tecnologia é attiva e approvata dall’FDA già dal 2015 quando i ricercatori idearono T-VAC, un virus geneticamente modificato in grado di lottare e sconfiggere alcune forme gravi di melanoma.
Il virus riesce a uccidere un tumore esattamente come uccidono le cellule sane, ovvero replicandosi all’interno della cellula tumorale e facendola sostanzialmente esplodere.
Essendo inoltre geneticamente modificati questi virus possono esprimere degli antigeni che azionano verso il tumore il sistema immunitario.
I tumori spesso si nascondono dal nostro sistema di difesa e questo è un modo efficiente per combatterlo dall’interno.
Il ceppo preso in esame nel recente studio è un orthopoxvirus, più precisamente un virus appartenente alla famiglia del vaiolo.
Il ceppo cf-33 viene quindi geneticamente modificato in modo da poter esprimere anche la funzione di trasporto di sodio e iodio.
Lo iodio 131 è un isotopo radioattivo utilizzato nel trattamento di numerose tumori. Una volta entrato il virus nella cellula tumorale, questo farà esprimere il trasportatore facendo entrare lo iodio 131 all’interno del tumore ma non solo, infatti è in grado di esprimere anche l’antigene anti PDL1 che aiuta il sistema immunitario a scovare in tempi rapidi il tumore e distruggerlo.
La somministrazione del virus può avvenire tramite puntura endovena o localizzato sulla massa tumorale. Si preferisce il secondo metodo in quanto nella somministrazione generalizzata incontra la resistenza del sistema immunitario.
Questa nuova tipologia di intervento sta portando risultati interessanti e concreti per tumori al pancreas e melanoma.
Occorre continuare la ricerca, ma i risultati raggiunti fin’ora sono decisamente promettenti.
–Studio pubblicato su Nature Medicine–