La ricerca per la comprensione dei processi degenerativi che portano il nostro cervello a perdere progressivamente le proprie capacità cognitive non smette mai di lavorare, la strada da fare è ancora tanta e se da un lato ci sono realtà come Neuralink che puntano a stabilire una vera e propria interfaccia cervello macchina dall’altra abbiamo la ricerca che si impegna nel trovare una cura a malattie come il Morbo di Alzheimer o la demenza senile che portano ad una lenta perdita delle capacità cognitive, in primis la memoria.
Molto interessante risulta in tal senso lo studio che lunedì è stato pubblicato su Nature Neuroscience, il quale parla di come una stimolazione del cervello con delle correnti elettriche pulsanti possa incrementare in modo importante le prestazioni in termini di memoria nei pazienti. Che la memoria con l’età vada deteriorandosi è ormai un dato accertato, fa ancora più impressione sapere che negli Stati Uniti a circa l’8% delle persone venga diagnosticato il morbo di Alzheimer o la demenza senile una volta superata una certa età.
Shrey Grover, ricercatrice di neuroscienze cognitive presso la Boston University, ha condotto uno studio che apre a nuove possibilità nel campo del trattamento di queste patologie.
L’esperimento si è condotto così, sfruttando una sorta di cuffia con applicati degli elettrodi, l a ricercatrice ha esposto a brevissime e debolissime scariche elettriche pulsanti le aree del cervello dedicate alla memoria a lungo e breve termine, il tutto su un campione di pazienti con età tra i 60 e gli 85 anni, di cui 20 hanno ricevuto un placebo, 20 la stimolazione per la memoria a breve termine e altri 20 quella per la memoria a lungo termine.
Ai partecipanti è stato poi affidato il compito di memorizzare al meglio delle loro possibilità un elenco di 20 parole, le quali sono state usate come cartina al tornasole dell’esperimento, già dopo soli 4 giorni i partecipanti con il dispositivo connesso a entrambe le aree del cervello hanno ottenuto miglioramenti delle capacità di memorizzazione rispetto a quelli con il dispositivo ‘placebo’, osservando peraltro un miglioramento costante ogni giorno che passava.
Come se non bastasse l’incremento prestazione si è mantenuto stabile anche un mese dopo l’interruzione dell’esperimento, dimostrando che un simile trattamento può offrire vantaggi superiori a qualsiasi terapia farmacologica attuale.