Un momento, è il caso di fare chiarezza ancor prima che ci siano dei fraintendimenti. Giocare con i videogame non provoca danni irreversibili, il problema ha origine solo ed esclusivamente dalla tipologia di community. Ma vediamo perché.
Nello specifico, sembra che uno studio fatto su 300 videogiocatori e portato avanti da Take This (organizzazione senza scopo di lucro per la salute mentale) abbia definito i “gamer” come più propensi a idee razziste e sessiste, rispetto a chi non gioca. Studiando quindi i loro comportamenti è emerso che “le comunità di giocatori rappresentano un’arma a doppio taglio. Da un lato, possono regalare una connessione contro la solitudine e l’insicurezza. D’altra parte però, possono incitare all’odio e alla tossicità sociale rendendoli suscettibili alla propaganda estremista”. Ma c’è anche chi dice che giocare ai videogame conduca solo dei benefici.
“Tutte queste osservazioni esistono negli spazi di gioco e in molti si indentificano come parte di quella comunità”, ha spiegato Rachel Kowert, direttrice della ricerca. Dopodiché a Vice ha comunicato diverse osservazioni sulle identità sociali e individuali, le quali giorno dopo giorno hanno trasformato intere comunità. “Sono Rachel, sono una donna e sono una giocatrice. Adoro ‘The Witcher'”, ha detto la donna.
Il problema però non è di questo videogame, bensì di Call of Duty, poiché i suoi giocatori sono continuamente esposti a razzismo e misoginia. Ovviamente però tutto può cambiare in base al tipo di persone con cui si passa il proprio tempo, dunque alle community.