Lo smart working in Italia ha subito un importante rallentamento negli ultimi tempi. Nel 2019 in Italia la percentuale di occupati che lavoravano da casa si attestava intorno al 4,8%. Un dato bassissimo. Con l’avvento del Covid e la pandemia che si è scatenata, si è passati al 13,7%. Oggi solo il 14,9% lavora in smart, è evidente quindi che c’è un progressivo rallentamento del fenomeno, con il nostro Paese che si piazza addirittura ultimo in Europa.
Analisi dell’Inapp
Questi dati emergono dall’analisi dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp). Secondo i risultati di questi studi il motivo principale per il quale spesso non si favorisce lo smart working è perché, soprattutto nelle imprese del settore extra agricolo, più dell’80% degli occupati svolge dei lavori non eseguibili a distanza. Però più l’impresa è grande più questa percentuale diminuisce.
Tra i lavorati che prediligono lo smart working ci sono dipendenti pubblici, laureati, e i dipendenti di grandi imprese. Vi è anche una significativa differenza tra genere, con gli uomini molto più propensi a lavorare da remoto rispetto alle donne.
Il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp, ha dichiarato: “Dai dati, dunque, non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese è come se durante la pandemia avessimo vissuto in ‘una grande bolla’ e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza, a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro che preveda una combinazione di fasi di lavoro da remoto con fasi di lavoro in presenza”.