Il 14 marzo, Bender e il suo collega Chirag Shah dell’Università di Washington, che lavora sulle tecnologie di ricerca, hanno pubblicato un documento che critica quella che vedono come una corsa ad abbracciare modelli linguistici per compiti che non sono progettati per affrontare. In particolare, temono che l’utilizzo di modelli linguistici per la ricerca possa portare a una maggiore disinformazione ea un dibattito più polarizzato.
Non è più solo quel piccolo team di ricercatori di Google. La visione sta arrivando a modellare il modo in cui l’azienda pensa alla ricerca. Al Google I/O dello scorso anno, una vetrina annuale di nuovi widget e tecnologia work-in-progress, il CEO Sundar Pichai ha rivelato “l’ultima svolta di Google nella comprensione del linguaggio naturale”: un chatbot chiamato LaMDA, progettato per conversare su qualsiasi argomento.
Ha poi tenuto una demo in cui LaMDA ha risposto a domande su Plutone in linguaggio naturale. Lo scambio ha mostrato come si afacile ottenere informazioni, un’alternativa alla ricerca. Invece di elencare i risultati dopo che le query sono state digitate in una casella
di ricerca, LaMDA ha preso parte a una conversazione in cui ha interpretato il ruolo del pianeta nano.È stata una bella discussione, anche se LaMDA ha continuato a fare alcuni errori. Il modello di linguaggio AI che lo alimenta è ancora in fase di sviluppo, ha spiegato Pichai. E Google afferma che non ha ancora intenzione di utilizzarlo nei suoi prodotti. Anche così, l’azienda lo utilizza per esplorare nuovi modi di interagire con i computer e nuovi modi per cercare informazioni. “LaMDA capisce già parecchio su Plutone e milioni di altri argomenti“, ha detto.