Si dice che chi muore passi in un’altra vita, la verità è che chi se ne va lascia un grande vuoto nel cuore e nell’anima di chi resta. Lo sa bene un cittadino dell’Antica Roma che secoli fa dedicò una serie di struggenti versi celebranti la vita del suo cane, Patrizio e la sua lealtà verso il padrone. Il dolore per la morte del piccolo amico a 4 zampe fu talmente forte che egli decise di erigergli un monumento.
I cani un tempo (così come oggi) venivano trattati con affetto e rispetto. Questo epitaffio è solo uno dei tanti esempi che dimostrano la loro importanza nella vita dei cittadini romani. Qui di seguito troverete i versi struggenti di cui vi parlavamo, quindi preparate i fazzoletti.
“Inzuppato di lacrime ti ho portato, nostro cagnolino, come in circostanze più felici ho fatto quindici anni fa. Così ora, Patrizio, non mi darai più mille baci, né potrai giacere affettuosamente intorno al mio collo. Eri un buon cane, e nel dolore ti ho messo in una tomba di marmo, e ti ho unito per sempre a me quando morirò. Hai prontamente accompagnato un essere umano con i tuoi modi intelligenti; ahimè, che animale domestico abbiamo perso! Tu, dolce Patrizio, avevi l’abitudine di unirti a noi a tavola e ci chiedevi servilmente il cibo in grembo, eri abituato a leccare con la tua lingua avida la coppa che le mie mani spesso ti tenevano e ad accogliere regolarmente il tuo stanco padrone scodinzolando la coda”.