TIM ha comunicato il 20 luglio scorso l’intenzione di aumentare i prezzi delle proprie tariffe per via dell’inflazione.
I rincari scatteranno ogni anno a partire da aprile 2024. La compagnia telefonica, spiega in una nota ufficiale, che il canone sarà aumentato “in misura percentuale pari all’indice di inflazione (IPCA) rilevato dall’Istat, non tenendo conto di eventuali valori negativi dello stesso, maggiorato di un coefficiente pari a 3,5 punti percentuali”.
Gli incrementi in questione non potranno comunque superare il 10% annuo del valore complessivo.
In soldoni, TIM andrà a calcolare il costo dei canoni sulla base della media ponderata degli indici dei prezzi al consumo dell’Eurozona in riferimento ai prezzi italiani. Dunque, secondo questo meccanismo. Se l’inflazione sale i prezzi salgono, ma se l’inflazione scenderà i prezzi non scenderanno.
La “rimodulazione” è consentita dalla legge e consiste in una variazione di contratto unilaterale che consente all’operatore di correggere le tariffe in qualsiasi momento, Tuttavia, anche il consumatore è protetto
, e si impone alla società di avvisarlo in tempo e di permettergli di cambiare eventualmente offerta senza penale alcuna.
In tal caso, però, la situazione pare subito differente: “L’unica possibilità per i clienti coinvolti di sottrarsi alla modifica è di recedere entro il 30 settembre prossimo”, si legge nella lettera sottoscritta da Adiconsum, Adoc, Cittadinanzattiva, Federconsumatori e Udicon.
E proseguono: “Tali modifiche si profilano in potenziale contrasto le riflessioni esposte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom)». Nella delibera Agcom 89/23/Cons. citata dalle associazioni si ravvisa, infatti «la necessità di evitare indicizzazioni al solo rialzo o maggiorate di un mark-up fisso, oltre che prevedere un consenso esplicito da parte del consumatore e la possibilità per gli utenti di cambiare offerta in caso di aumenti oltre una ragionevole soglia”.