Tempo fa si diceva “siamo ciò che mangiamo”, ora sarebbe meglio dire “siamo ciò che creiamo”. Con l’inizio dell’era degli smartphone, la vita umana ha subito un drastico cambiamento.
L’iPhone, come magari si può pensare, non è stato il primo smartphone della storia. Tuttavia, è stato quello che ha reso popolare questo concetto, diventando poi il “paradigma” con il quale esso si è diffuso nell’intera società.
Gli smartphone e la vita umana
Smartphone significa «telefono intelligente», ovvero un dispositivo in grado di fare sì telefonate, ma che al contempo integra anche funzioni tipiche dei pc. Un esempio? Archiviare, elaborare e trasmettere dati, attraverso l’uso dei diversi sistemi operativi.
La telefonia mobile è nata prima di quanto molti di voi pensiate: negli anni Settanta con i radiotelefoni. Il suo boom è però avvenuto venti anni dopo, grazie alle prime reti cellulari. Rispetto alla radiotelefonia, che funzionava solo in città e prevedeva un’unica antenna e dunque un unico punto di accesso per tutti gli utenti, la tecnologia cellulare divideva il territorio in tante celle (da qui il nome). In questo modo aumentava incredibilmente il numero di chiamate supportate e ovviamente semplificata il modo di comunicare. Ciò permise la diffusione del servizio e l’aumento degli utenti, innescando la “rivoluzione della telefonia mobile”.
I cellulari dei primi anni Novanta erano semplici, passivi, senza nessuna funzione aggiuntiva, nemmeno la rubrica, e spesso privi di monitor o con schermi molto piccoli. Si componeva il numero sulla tastiera e si schiacciava il pulsante di chiamata, oppure, in ricezione. Niente più di questo.
Con il passare degli anni, grazie al miglioramento e alla miniaturizzazione dei circuiti integrati e all’implementazione di nuove reti di comunicazione mobile, i cellulari iniziarono il loro cammino per diventare sempre più smart e ricchi di funzionalità.
Il primo cellulare chiamato “smartphone” fu il modello GS88 proposto dalla Ericsson nel 1997. Il primo dotato di un proprio sistema operativo fu il modello R380 sempre della casa svedese. Il sistema in questione era il Symbian, un software nato dalla collaborazione fra diverse aziende di elettronica e informatica.
L’arrivo dell’IPhone
Scommettiamo ciò che volete che Steve Jobs non avrebbe mai creduto di rivoluzionare a tal punto il mondo della telefonia mobile. Il suo era solo un progetto come tanti. Tuttavia, nel 2005 si rese conto che i cellulari stavano diventando sempre più smart, permettendo di includere nuove funzioni. Questa avrebbero finito per integrare anche i lettori mp3, invadendo il dominio dell’iPod (2001) e mettendo a repentaglio il modello di business della sua azienda.
Per questo motivo Steve Jobs decise di occuparsi anche di telefonia mobile, scendendo velocemente in campo per non farsi trovare impreparato davanti a quella che sembrava un’ineluttabile certezza: il consumo della musica era destinato a convergere nel telefono.
Forse sera spinta da puro interesse commerciale e probabilmente una punta non tantino piccola di gelosia e possessività.
L‘iPhone rappresentò poi una profonda rivoluzione rispetto agli altri smartphone. A ben guardare, Jobs e la Apple non inventarono nulla di nuovo: il dispositivo non era nient’altro che un telefono che integrava al suo interno un computer.
Ma i suoi dettagli e le sue caratteristiche, dai materiali al sistema operativo, fino all’interfaccia e alle icone, fecero dell’iPhone qualcosa di mai visto.
Italo Calvino, scrisse a metà degli anni Ottanta nel libro “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”: ” […] è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma d’impulsi elettronici.”
Che Jobs abbia letto Calvino e abbia preso spunto? A noi pare proprio di sì.