Il “doomscrolling” è un fenomeno che sta guadagnando sempre più attenzione nell’era digitale. Derivato dalle parole “doom” (rovina) e “scrolling” (scorrimento), descrive l’abitudine compulsiva di scorrere continuamente contenuti negativi sui social media o sulle piattaforme di notizie. Questa pratica, apparentemente controintuitiva, è alimentata da una serie di fattori psicologici e sociali.
Doomscrolling: il lato oscuro
La nostra predisposizione naturale a concentrarci sugli eventi negativi, un retaggio evolutivo che ci ha aiutato a percepire minacce e pericoli, gioca un ruolo chiave nel doomscrolling. Questo istinto ancestrale si manifesta oggi nella nostra attrazione verso notizie tragiche o allarmanti. Ma c’è di più: la dipendenza dai dispositivi digitali, con le loro notifiche incessanti e l’approccio algoritmico delle piattaforme social, crea un ciclo di gratificazione immediata difficile da interrompere. L’ansia di perdere informazioni rilevanti spinge le persone a scorrere ininterrottamente, nonostante l’impatto negativo sulla salute mentale.
Il contesto sociale moderno amplifica ulteriormente il fenomeno. Viviamo in un mondo iperconnesso, dove c’è una pressione costante per rimanere aggiornati e partecipare alle conversazioni online. La paura di sentirsi esclusi o di non essere al passo con le ultime notizie spinge molti a cadere nella spirale del doomscrolling. A ciò si aggiunge la diffusione di notizie false o sensazionalistiche, che possono scatenare paure irrazionali e ansie, spingendo le persone a cercare ulteriori dettagli e a immergersi ancora di più in questo ciclo distruttivo.
Infine, la natura stessa delle piattaforme di notizie e dei social media contribuisce al problema. Gli algoritmi delle reti sociali sono progettati per mostrare contenuti che generano più interazioni, spesso notizie negative o sensazionali. Questo meccanismo di feedback positivo rinforza l’abitudine di cercare e consumare continuamente contenuti negativi.