batterie nucleari Il dibattito sul nucleare è nato con la sua scoperta e continua ancora dopo anni ed anni al giorno d’oggi. La ricerca della sostenibilità ha portato però anche a valutare fonti nucleari come valide alternative per salvare il pianeta, ma ci sono in gioco pro e contro legati alla produzione e agli scarti. Oltre che nel campo energetico “classico” il nucleare è stato applicato anche ad alcuni tipi di batterie.

Con l’avanzamento tecnologico l’obiettivo primario di molte aziende è diventato quello di costruire batterie sempre più potenti, concentrandosi quindi sulla loro densità e la capacità di produrre energia. Questo non solo in base all’oggetto a cui deve fornirla ma anche rispetto al volume e alla massa dei materiali.

Le batterie nucleari: come sono nate e come sono composte

Da anni si cerca un sistema in grado di accumulare così tanta energia da poterla caricare e scaricare nella maniera più veloce possibile. L’idea di alcuni sviluppatori, come spesso si pensa, non è quella di aumentare la quantità di energia che una batteria può produrre, ma modificare la batteria stessa e trasformarla in una sorta di piccolo generatore.

C’è da considerare che l’energia comunque va prodotta in qualche modo. Secondo le leggi della termodinamica e della fisica, purtroppo essa non si autoproduce e le batterie non si caricano autonomamente. Tuttavia, nel caso delle batterie nucleari l’energia a disposizione è molto più elevata rispetto a quelle normali, limitate dal materiale utilizzato. Sfruttando le reazioni nucleari, la quantità di energia che può essere ottenuta rispetto alla massa del combustibile è immensamente più elevata rispetto a quella che può essere ottenuta dalle reazioni chimiche.

Questo tipo di batteria è costituita da un emettitore, cioè da un materiale fissile che decadendo produce una radiazione con un’energia molto elevata partendo da un materiale assorbente che, per l’appunto, riceve la radiazione e poi la converte in energia elettrica.

Uno dei punti critici di questo sistema è dato però proprio dal materiale emissivo che tende a riassorbire in maniera importante la radiazione emessa, dissipando al contempo l’energia sottoforma di calore. Diviene fondamentale, quindi, creare un design con strati estremamente sottili di materiale emissivo. In questo modo si evita il riassorbimento interno ma si ha comunque a disposizione tutta la potenza della radiazione.

Com’è costituito il materiale assorbente?

Il materiale assorbente (la cella) è costituito come i comuni pannelli solari attraverso una giunzione di semiconduttori, tuttavia in questo caso non viene utilizzato nel sotto-strato il silicio, ma il diamante perché più idoneo allo scopo.

Con i diamanti è possibile assorbire radiazioni molto più energetiche come quelle messe dalle reazioni nucleari. Lo strato poi di diamante è formato da tanti cristalli di dimensioni nanometriche; questo permette di avere i vantaggi della struttura cristallina, come ad esempio l’elevata conducibilità termica, e al contempo una buona mobilità delle cariche elettriche, dissipando anche più facilmente il calore.

D’altra parte, avere molti cristalli, e non uno solo, riduce anche la fragilità del generale lo rende più resistente agli impatti.

Ma quanto sono sicure queste batterie?

Dato che si parla comunque di materiali radioattivi, durante il loro funzionamento le radiazioni messe sono assorbite dal semiconduttore. Questo indica che in realtà non
raggiungono l’esterno. Inoltre, all’esterno del materiale attivo è prevista una schermatura per poter assorbire quelle piccole frazioni di radiazioni che potrebbero sfuggire. Per queste ragioni possiamo dire che il rischio fuoriuscita radioattiva, durante un normale funzionamento e privo di incidenti, resta molto basso.

Il problema si potrebbe presentare nel momento in cui la batteria subisce un danneggiamento. Le componenti, poi, sono completamente allo stato solido, quindi non
presentano rischi di incendi ed esplosione tipici degli elettroliti liquidi delle batterie al
litio convenzionali.

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