Non è la prima volta che si parla del concetto di bioelettricità. Infatti, già a partire dal XVIII secolo l’italiano Luigi Galvani aveva dimostrato come alcuni impulsi elettrici potevano indurre delle contrazioni muscolari nelle rane. In questo modo Galvani aveva gettato le basi dell’elettrofisiologia. Nonostante questi primi tentativi, la comprensione di questi fenomeni a livello molecolare è però rimasta un mistero fino ad oggi.
Tornando alle ricerche sul batteriofago M13 questo presenta una struttura decisamente unica. Infatti, è caratterizzato da una guaina proteica che contiene al suo interno circa 3.000 copie di una proteina elicoidale. Questa particolare disposizione crea una polarità caratterizzata da cariche positive all’interno e negative invece all’esterno. Partendo da questo presupposto il team di Lee ha scoperto che applicando una pressione su queste proteine era possibile generare piezoelettricità. Si tratta della capacità di trasformare la forza meccanica in energia elettrica.
A questo punto, i ricercatori hanno modificato geneticamente
i virus per poter includere al loro interno una specifica sequenza proteica facendo in modo che i virus si legassero a piastre sottili che erano state ricoperte di nichel. Queste strutture, se esposte al calore (con laser o fuoco) portavano le proteine a sciogliersi e ripiegarsi. In questo modo le cariche vengono squilibrate e si generano tensioni elettriche. Questo processo è stato inoltre potenziato inserendo sulla superfice esterna delle proteine il glutammato, ovvero un amminoacido caricato negativamente. Al momento la tensione generata da questi virus è ancora modesta, ma i ricercatori sono ottimisti a riguardo. Infatti, i virus M13 sono dotati della capacità di autoreplicarsi aumentando in questo modo il loro numero. Questo fenomeno, come messo in evidenza dal team di Lee aumenta naturalmente l’intensità dell’energia elettrica che viene prodotta.Questa particolare ricerca apre la strada a svariate applicazioni a livello pratico. Una di queste è sicuramente l’uso dei batteriofagi come biosensori che riescano a rilevare la presenza di gas nocivi. Infatti, sfruttando la loro capacità di generare precise firme elettriche a contatto con determinate sostanze chimiche, i virus possono diventare degli strumenti estremamente efficaci per rilevare la presenza di sostanze pericolose. Inoltre, la ricerca apre nuove interessanti prospettive per quanto riguarda la bioingegneria nella produzione di energia di tipo sostenibile.