Così come sono numerose le tecnologie all’avanguardia che consentono di falsificare uno scatto, allo stesso tempo sono numerosi gli strumenti che ne permettono di identificare la non veridicità. In quest’ottica, le foto in qualche modo falsate sono praticamente vecchie quanto la fotografia stessa. Il fotografo francese Hippolyte Bayard sentiva di aver perso il riconoscimento per aver inventato la fotografia ed è arrivato Louis Daguerre. Per protesta, ha messo in scena una sua foto e ha scritto una nota in cui diceva che l’uomo raffigurato era “giacente all’obitorio da giorni, nessuno lo ha riconosciuto o reclamato!”. Sullo stesso filo conduttore, non appena abbiamo saputo cosa fossero le fotografie, le abbiamo usate per ingannare l’occhio, creare un senso di illusione.
Trarre in inganno con una fotografia è sempre più d’uso comune. Fotografia intesa anche in senso lato, come concetto di immagine immortalata, anche in movimento o meno. Basta pensare al deepfake, il cui uso è in forte crescita, per capire a pieno quanto i limiti siano ormai stati superati già da un po’ di tempo. La necessità, infatti, di una controparte è sempre più forte. Il mondo tech si evolve ad una velocità incontrollabile, un po’ come l’evoluzione dell’umanità stessa. Risulta difficile, dunque, porre un freno incisivo e immediato a fenomeni come quello del deepfake, o simili. La tecnologia, in quest’ambito come in altri, è un valido aiuto ma un’arma a doppio taglio.