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Causa contro Meta: pagare per i social network viola è illegale

Il gruppo austriaco di attivisti per il diritto alla privacy, noto come noyb, ha presentato una denuncia contro Meta, la società madre di Facebook e Instagram, per la presunta violazione del GDPR europeo. Il motivo? Il recente lancio del nuovo piano a pagamento. Questo abbonamento a 9,99 Euro al mese permette agli utenti di evitare non solo la visualizzazione di pubblicità, ma soprattutto il tracciamento dei dati personali.

Secondo noyb, il dilemma principale non è infatti l’opzione di pagamento in sé, la questione problematica risiede nelle conseguenze. Proporre un’alternativa economica, ma con rinuncia della privacy è un gioco che non è piaciuto. Se ad un utente meno esperto si offre l’opportunità di non aggiungere un’ulteriore spesa, questo non vedrà altro, non capendo completamente ciò che accade. Non si tratta di una cifra bassa, cosa che sicuramente incide.

Meta vuole i nostri dati?

Come molte altre piattaforme, Meta ha inseguito il trend della monetizzazione tramite i piani a pagamento degli utenti. Rispetto ad i suoi concorrenti, come TikTok, offre come alternativa la non profilazione del proprio profilo, solo però se si accetta di sborsare. TikTok ha infatti recentemente dichiarato una mossa simile, ma ponendo come vantaggio la possibilità di non visualizzare annunci (così come anche YouTube del resto). Max Scherms, attivista europeo per la privacy, ha spiegato che più del 20% della popolazione rischia la povertà e l’approccio di Meta potrebbe costringere le persone a fare una scelta difficile tra il pagamento per la privacy e l’accettazione delle politiche pubblicitarie. Sempre se vogliono continuare ad usare i social.

Gli attivisti temono che questo modello possa aprire la strada a altre app che seguano l’approccio di Facebook e Instagram, introducendo sottoscrizioni a pagamento per garantire la privacy. Ritengono che il diritto alla privacy, sancito dal GDPR, dovrebbe invece essere garantito gratuitamente. In risposta, Meta ha difeso il proprio approccio, affermando che l’opzione di acquistare un abbonamento rispetta i requisiti dettati dalle leggi europee, ponendo agli utenti la scelta di utilizzare i servizi con o senza pubblicità. Non ha espresso commenti diretti sulla profilazione. L’accusa non riguarda, come già detto, il piano, ma l’alternativa. Ciò potrebbe sancire anche un calo del numero di iscritti, una volta capito il meccanismo. La controversia solleva questioni importanti sulla relazione tra privacy, accesso ai servizi e disparità economiche.

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Pubblicato da
Rossella Vitale