Noam Chomsky, nel suo articolo “The False Promise of ChatGPT” del 8 marzo 2023, ha espresso una critica incisiva verso l’intelligenza artificiale, utilizzando argomentazioni specifiche. Egli mette in dubbio il concetto stesso di apprendimento delle intelligenze artificiali, sottolineando che la mente umana non funziona come un deposito di dati, e non può essere ridotta a un mero motore di elaborazione.
Intelligenza Artificiale: i pro e i contro
Chomsky affronta anche il tema della creatività, sostenendo che la mente umana è un sistema capace di creare spiegazioni partendo dai dati a sua disposizione, e non si limita a estrapolare correlazioni. Infine, critica la denominazione “intelligenza artificiale”, affermando che questi sistemi non possiedono realmente intelligenza e suggerendo la necessità di un cambio di nome.
L’autore del blog ha pubblicato due post, rispettivamente il 28 maggio 2022 e il 4 febbraio 2023, in cui giunge a conclusioni simili a quelle di Chomsky, ma con argomentazioni ancora più radicali. Egli osserva con soddisfazione che finalmente pensatori di spicco come Chomsky iniziano a esprimere critiche in un campo dominato da una narrazione unilaterale. Questo monologo ha escluso chiunque avesse un approccio radicalmente critico o non facesse parte di certe “tribù” accademiche o tecnologiche.
Tuttavia, nonostante l’argomentazione che le IA non pensino veramente, l’autore riconosce che queste tecnologie avranno un impatto significativo sulla nostra vita. Egli mette in guardia contro una narrazione divulgativa schizofrenica che alterna l’esaltazione del “nuovo dio” tecnologico con la paura di robot che sottraggono posti di lavoro e di computer senzienti.
L’autore del blog solleva due questioni principali. La prima è che le IA non si limiteranno a rendere obsoleti alcuni lavori, ma intere categorie di occupazioni, obbligandoci a ripensare l’intera società. Propone l’adozione di un reddito universale e una riflessione sul numero massimo di abitanti che il nostro pianeta può sostenere. La seconda questione riguarda chi dovrebbe preoccuparsi di più in questo nuovo contesto. Sostiene che saranno a rischio soprattutto quei lavori che non richiedono pensiero creativo, poiché le macchine potranno eseguirli più efficientemente ed economicamente. Di conseguenza, ci sarà un maggiore bisogno di persone che possiedano capacità non replicabili dalle macchine.
L’autore anticipa un rinnovato interesse per gli studi umanistici, sostenendo che l’umanità dovrà imparare a pensare in modo più profondo e critico, in un mondo in cui le macchine svolgono tutte le attività calcolative. Conclude che non accettare questa sfida epocale significherebbe sottomettersi a un’élite tecnocratica sempre più potente, descrivendo una realtà simile a quella narrata nei romanzi di Philip K. Dick.