La tradizione culinaria delle regioni ci appare spesso come radicata nel tempo, un patrimonio che si è tramandato attraverso i secoli. Se scrutiamo più attentamente le ricette che ancora oggi deliziano i nostri palati, scopriamo che molte di esse hanno origini sorprendentemente recenti e coinvolgono ingredienti che un tempo non facevano parte del panorama gastronomico occidentale e della cucina dei nostri avi.
Il lungo medioevo culinario
Un confronto tra la cucina di mille anni fa e quella attuale evidenzia un lungo periodo in Europa in cui la gastronomia non ha subito significativi cambiamenti. Il Medioevo, segnato da una mancanza di innovazioni culinarie, non ha contribuito in modo significativo alla creazione di nuove ricette e ricettari, a differenza dei periodi precedenti e successivi, in cui sono stati scritti numerosi libri sull’argomento e introdotte molte tecnologie legate alla lavorazione e distribuzione del cibo.
Da diversi punti di vista, la cucina medievale è considerata dagli storici tra le peggiori della storia. Non solo mancavano alcuni ingredienti oggi fondamentali, come patate e pomodori, ma anche il sistema classista cruento all’interno della società influenzava il consumo alimentare. Le credenze medievali imponevano alle classi più deboli di mangiare in modo frugale, sostenendo che i nobili avessero uno stomaco più raffinato e avessero bisogno di cibi più prelibati.
La crudeltà della distinzione sociale anche in cucina
Questa concezione fu diffusa dai nobili stessi, che convincendo i loro sottoposti ad accontentarsi di una dieta limitata contribuirono a una crescente ingiustizia sociale. I contadini erano costretti a consumare cibi scadenti, mentre i nobili, seguendo la loro dieta “raffinata“, svilupparono problemi di salute come gotta, diabete e obesità.
Questa credenza influenzò anche i cuochi, che non vedevano motivo di inventare nuove ricette in un contesto in cui i nobili erano abituati a mangiare sempre le stesse pietanze. La situazione peggiorò quando i nobili si arrogarono il diritto di cacciare selvaggina nei boschi, privando il resto della popolazione di risorse cruciali.
La Chiesa cattolica contribuì ulteriormente al problema con il calendario liturgico, che vietava il consumo di carne e di alcuni prodotti animali per periodi dell’anno, creando periodi di digiuno religioso. Verso la fine del Medioevo, alcuni commercianti iniziarono a disobbedire a queste regole, sfidando le restrizioni politiche e religiose per godere di pasti più variati durante le feste.
La lotta per il gusto
La risposta della Chiesa e della Nobiltà fu la promozione di leggi suntuarie che limitavano la sontuosità dei pasti della gente comune. La macellazione degli animali d’allevamento divenne un’occasione per i nobili di accaparrarsi i bocconi migliori, mentre i mercanti che si ribellavano erano puniti pubblicamente.
Questa oppressione raggiunse il suo apice quando la società, stanca di essere sottoposta a tali ingiustizie, iniziò a ribellarsi. Le rivoluzioni agrarie tra il Duecento e l’Umanesimo segnarono il declino di queste restrizioni alimentari, evidenziando che era insensato privare i poveri del cibo necessario per garantire il benessere dei ricchi.
La storia della cucina medievale non è solo una narrazione di ingredienti mancanti, ma anche una testimonianza di ingiustizia sociale e salute precaria. Riflettendo su questo periodo, ci rendiamo conto di quanto sia importante considerare il contesto storico e sociale quando esploriamo le radici delle nostre tradizioni culinarie attuali. La lotta contro le credenze erronee e le restrizioni ingiuste ha portato a un cambiamento significativo nel modo in cui concepiamo e godiamo del cibo oggi.