In un laboratorio presso l’Università del Maryland, un gruppo di ricercatori ha compiuto una svolta nel campo dell’adesione dei materiali, scoprendo un metodo che rende i collanti superflui. Piuttosto che fare affidamento su sostanze appiccicose, hanno sfruttato il potenziale dell’elettricità per unire materiali con estrema facilità.
Come funziona l’elettroadesione
Questo innovativo approccio non solo promette di rivoluzionare il settore, ma apre anche la strada alla possibilità di separare gli oggetti con altrettanta semplicità, semplicemente invertendo la corrente elettrica. Questa scoperta offre prospettive per un futuro in cui la creazione di robot bioibridi, l’implementazione di impianti biomedici avanzati e lo sviluppo di tecnologie batteristiche potranno diventare realtà.
Il cuore di questo processo è l’elettroadesione, nota anche come effetto Johnsen-Rahbek, identificato per la prima volta negli anni ’20 da due ingegneri danesi. Essi osservarono che applicando una tensione elettrica a un materiale poroso posto tra due piastre metalliche, questo si legava magicamente a una delle piastre.
Questo fenomeno, che consente a materiali con caratteristiche molto diverse di aderire tra loro grazie alla ri-orientazione delle loro molecole, non conosce confini di superficie e può verificarsi tra conduttori, semiconduttori e isolanti. L’adesione può variare a seconda del comportamento del materiale come conduttore o isolante, richiedendo quindi una regolazione precisa per ottenere risultati ottimali.
Materiali diversi, un solo legame
La dimostrazione dei ricercatori del Maryland, che ha visto la fusione di materiali rigidi come il grafite con tessuti morbidi di origine animale o vegetale, rappresenta un importante passo avanti nella comprensione e nell’applicazione dell’elettroadesione. Hanno scoperto che l’adesione richiede la conduzione di elettroni nel materiale rigido e la presenza di ioni di sale in quello morbido.
Questo criterio spiega perché alcuni materiali, come i grappoli d’uva ricchi di zucchero, possono non aderire in determinate condizioni. Inoltre, la scoperta che questo processo funzioni anche sott’acqua amplia notevolmente le sue possibili applicazioni, aprendo la strada a un futuro in cui questa tecnica potrebbe essere impiegata per lo sviluppo di nuove batterie, avanzamenti nella robotica bioibrida e miglioramenti negli impianti biomedici.