Società importanti come Microsoft, Epic Games e Rockstar, negli ultimi anni, stanno pagando le conseguenze delle controversie legate alle presunte cause di dipendenza psicologica dei giocatori. In particolare, di recente, sono state mosse accuse gravi contro videogiochi popolari tra l’utenza come Fortnite, Minecraft e GTA 5. Le cause legali hanno creato parecchi dubbi su quali siano le effettive responsabilità delle aziende verso i possibili danni psicologici dei loro clienti. Sei una persona sviluppa una dipendenza e colpa dell’azienda? Per alcuni sì.
Una madre dell’Arkansas ha presentato in tribunale una causa con una motivazione alquanto strana. In questa, ha accusato giochi come Roblox ed altri di aver sfruttato la vulnerabilità psicologica dei giocatori inducendoli in uno stato di dipendenza compulsiva. In parole povere: essendo i giochi troppo coinvolgenti, è inevitabile che generino problemi di natura psicologica. La donna ha iniziato la causa dopo che suo figlio ha sviluppato gravi problemi derivanti dall’uso eccessivo di questi videogiochi, arrivando ad abbandonare la scuola ed iniziando a soffrire di disturbi depressivi.
Videogiochi e dipendenza: di chi è la colpa?
Gli sviluppatori accusati hanno respinto con fermezza le teorie della donna, difendendo le proprie creazioni come forme di espressione protette dal Primo Emendamento della Costituzione. Hanno chiaramente spiegato che hanno realizzato i loro prodotti con l’unico fine di generare divertimento. Gli avvocati della società hanno anche espresso dubbi sulla veridicità delle prove fornite dalla donna. Nella documentazione non c’è nulla che mostri in modo chiaro una correlazione tra i titoli citati e i danni causati a suo figlio.
Non possiamo negare che i videogiochi siano in qualche modo capaci di influenzare il comportamento e la salute mentale dei giocatori, ma è importante anche considerare fino a che punto le aziende possano essere ritenute responsabili dell’utilizzo dei loro prodotti. L’ideale sarebbe avere come obiettivo il raggiungimento di un equilibrio tra libertà di espressione artistica e tutela del benessere del consumatore, inserendo (magari) dei sistemi che delimitino i tempi di gioco.
L’episodio, sebbene non abbia ancora giunto una conclusione, crea interrogativi riguardanti la trasparenza che le aziende dovrebbero avere nel promuovere i propri giochi. Persone come la donna dell’Arkansas ritengono che i videogiochi “da console”, anche se di natura diversa, debbano essere trattate in qualche modo similmente a quelli d’azzardo, in quanto capaci di scaturire una dipendenza negli utenti.